Nel 1963 l’accordo di Ankara sanciva le relazioni particolari con l’Unione Europea. Da allora, il futuro della Turchia ha sempre guardato ad ovest. Oggi, però, Ankara è corteggiata da tutti i potenti.
Le trattative per l’adesione all’Unione Europea sono iniziate ufficialmente nel 2005 ma appaiono tutt’oggi bloccate in una situazione di stallo, come in un affare in cui una parte teme di aver più da perdere che da guadagnare. Molti dei capitoli non sono nemmeno stati aperti a causa di una serie di questioni politiche che non evolvono secondo i principi e la weltanschauung dell’Unione. La Turchia ha dimostrato nella lunga fase di trattative un reale interesse ad aderire all’Unione Europea. Questo interesse, però, nell’ultimo periodo ha iniziato una parabola discendente.
Il rapporto tra Bruxelles e Ankara sembra essersi rovesciato. Da una Turchia “in via di sviluppo” desiderosa di entrare nell’ambita Unione oggi vediamo un’Anatolia ruggente, in pieno sviluppo economico, politicamente centrale nelle questioni dell’area e non solo, sempre meno disposta a compromessi per entrare in un’Europa che pare non volerla. La definizione di fortezza Europa si conferma così su numerosi piani. E la Turchia crea nuovi equilibri e guarda ad alleanze alternative.
È del giugno scorso la notizia dell’entrata della Turchia come “partner di dialogo” nella Shangai Cooperation Organisation. Fondata inizialmente come gruppo di cinque paesi nel 1996, gli obiettivi dell’organizzazione che ha assunto l’attuale nome nel 2001 sono principalmente quelli dell’alleanza militare. La Turchia è vicinissima ai paesi sotto la sfera di influenza della SCO e potrebbe fare da testa di ponte per un allargamento che arriva alle porte dell’Europa. La SCO non è un’alternativa all’UE, ha sottolineato più volte il presidente Gül, ma Erdogan ha evidenziato come l’Unione abbia messo a dura prova la pazienza di Ankara. E, se questo cambio di orizzonte assomiglia ad una ripicca, è nella natura dell’Organizzazione di Shangai porsi in contrapposizione con i valori della Nato e dell’Occidente visto come blocco ideologico.
I fattori importanti in questo scenario sono principalmente tre. Non si può dire che alleati come Russia e Cina siano invidiabili esempi di democrazia e apertura, ma di certo questi paesi hanno avuto maggiore acume nel percepire il potenziale economico e politico della Turchia. Senza bisogno di principi ideali come collante, l’alleanza è più semplice e strumentale. L’Unione Europea ha validi motivi per non procedere con il processo di integrazione della Turchia (dai diritti umani alla questione di Cipro), però ha dall’altra parte compiuto l’errore di aver tentennato troppo a lungo, dimostrando uno scarso interesse nella questione.
Oggi la Turchia è uno dei paesi con la crescita economica più sorprendente e tra i più vivi fermenti nel movimento di persone e capitali -l’aeroporto di Istanbul è il 6° aeroporto d’Europa per numero di passeggeri- e ciò la rende un paese attraente come destinazione per i singoli e come alleato per gli Stati.
Facendo le dovute valutazioni, Ankara potrebbe fare un passo falso entrando nell’ambito della SCO, ma con ogni probabilità l’errore più grande l’ha compiuto l’UE nel vedere nell’ingresso della Turchia più scocciature che vantaggi. Oggi la tendenza dimostra che molto presto potremmo essere noi a supplicare alleanza politica ed economica con il vicino anatolico. Anche perché, a conti fatti, in politica è preferibile essere amici con clausole che nemici dichiarati.