CROAZIA ELEZIONI / 3 – Croazia criminale. Intervista a Francesco Strazzari

Francesco Strazzari, professore associato alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa dove insegna Relazioni internazionali, professore aggiunto alla Paul H. Nitze School of Advanced International Studies – SAIS – The Johns Hopkins University dove insegna Economia dei conflitti. Tra le sue pubblicazioni: Notte Balcanica, Il Mulino, 2008;  Guerre alla Finestra. Rapporto di Ricerca su Conflitti Dimenticati, Guerre Infinite e Terrorismo Internazionale, Il Mulino, 2005. Co-autore con P. Beccegato e W. Nanni; autore del capitolo 1: “Le mappe globali della violenza organizzata,” pp. 27-57;  Conflitti dimenticati e guerre infinite, Feltrinelli, 2001.

Intervista tratta da “Financial Mafija“, inchiesta sui rapporti tra finanza, politica e crimine organizzato nei Balcani, di Matteo Zola e Gaetano Veninata, pubblicata su Narcomafie nel settembre 2011.

di Matteo Zola

Quali sono i rapporti che legano la Croazia con il mondo tedesco?

I buoni rapporti tra Germania e Austria con la Croazia non devono stupire. La vicinanza è storica, si radica ai tempi dell’impero asburgico che aveva in Zagabria una delle sue capitali. In tempi più recenti, durante la guerra, e in piena violazione dell’embrago, armi destinate ai croati venivano fatte passare attraverso il confine austriaco. Nell’agosto del 1991, mentre i media trasmettevano il cri de douleur di Tudjman perla Croazia lasciata sola, gli aresenali croati erano in buone condizioni: centomila fucili erano stati comprati a Berlino poco prima chela Ddr collassasse, e centinaia di Stinger e missili anticarro provenivano dall’Austria. In Germania, inoltre, la stampa lanciò una campagna a favore della Croazia. L’allora ministro degli esteri Hans Dietrich Genscher si prinunciò apertamente a favore dell’ingresso della Croazia nell’Unione Europea mentre i tempi non erano ancora maturi. Lo stesso Genscher andrà, dieci anni dopo, ai funerali di Tudjman. Dietro questo clima di benevolenza ci fu anche il lavoro della diaspora croata, la stessa che sostenne l’indipendenza depositando contributi su un apposito conto bancario Ubs con sede in Svizzera.

Il fatto che Tudjman abbia riciclato il denaro sporco fatto con la guerra proprio nell’austriaco Gruppo Hypo rientra in un’ottica di partnership storica tra il mondo tedesco e la Croazia?

Non conosco il caso preciso di Hypo Group, posso però dire che la holding ha agito lì perché trovava copertura politica, meno regole e meno tasse oltre che la possibilità di agire indisturbata, senza troppi controlli, perché è sufficiente oliare il controllore. Quella croata, come altre dei Balcani, è un’economia ciminalizzata che nasce dalla guerra. La criminalità organizzata provvede all’economia di guerra. Dopo la guerra l’elemento criminale non è più un semplice provider ma diventa attore in proprio e imbeve di sé l’intero progetto politico che, uscito dalla guerra, ha contribuito a portare al successo. Così la situazione si ribalta: non è più la politica che usa il crimine ma è il crimine che – prendendo in ostaggio il potere di statemaking – fa diventare il politico un suo strumento.

Nel suo libro, Notte balcanica, lei analizza il fenomeno della criminalità organizzata nei Balcani partendo dal concetto di “periferia”.

La mia proposta è infatti quella di analizzare i Balcani come periferia internazionale e del sistema europeo. I moderni stati balcanici sono quelli di sempre, e sempre sono stati periferia: prima dell’impero ottomano, poi dell’impero asburgico, e ora dell’Unione Europea. Sono paesi in un certo senso immutabili nelle loro logiche sociali, paesi che vanno deindustrializzandosi, dove è il crimine a produrre economia. La società si sviluppa intorno a questa economia criminale e diventa essa stessa “Stato” criminale. Quando poi, come oggi, uno Stato moderno si costituisce, esso non può che riproporre quel modello ancestrale poiché nulla di fondamentale è mutato negli equilibri socio-economici di quei luoghi.

Insomma, l’economia criminale è fondamentale per la sopravvivenza dello Stato?

Illegale e legale sono molto fluidi durante le fasi di passaggio da una economia di guerra a una postbellica e il lato criminale ascende violentemente in assenza di economie stabili. Per farlo appoggia la politica. La criminalità che si afferma non è però nascosta, essa si lega alla ricchezza, è vistosa, diventa valore in mondo di povertà, si fa pacchiana e sfocia persino gangsterismo.

Nel suo libro lei parla di rapporti tra la criminalità organizzata croata e la mafia italiana

Gli emissari di Cosa nostra erano di casa in Croazia, Giambattista Licata – esponente del clan siciliano dei Fidanzati e della mafia del Brenta – aveva il suo quartier generale a Fiume e disponeva di passaporto croato. Intercettando lui, gli investigatori veneziani smantellarono un traffico d’armi stimato di circa 50 milioni di dollari. Quelli erano però gli anni di Mani pulite, cui la mafia rispose con una violenza senza precedenti. Erano di provenienza croata gli esplosivi usati in Sicilia ai tempi dell’attentato che uccise a Capaci il giudice Giovanni Falcone.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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