Aid Brigade

BOSNIA: Gestione dei migranti, chiude la Aid Brigade Sarajevo

La Bosnia Erzegovina si presenta alle celebrazione previste per la Giornata Mondiale del Rifugiato indetta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per il 20 giugno senza un pezzo importante della sua storia recente per quel che concerne la solidarietà e l’accoglienza.

La chiusura delle attività di Aid Brigade

Con un comunicato pubblicato sulla propria pagina Facebook a fine maggio scorso, infatti, la Aid Brigade Sarajevo ha annunciato l’interruzione delle attività di sostegno ai migranti e la serrata a tempo indeterminato del proprio centro di accoglienza. L’attività dell’organizzazione era partita in risposta all’incrementata esigenza di fornire aiuto ai migranti (perlopiù afgani, siriani e pakistani) in transito in Bosnia Erzegovina lungo la famigerata rotta balcanica, sempre più numerosi come effetto della chiusura e della progressiva militarizzazione dei confini est europei. Chiusura che aveva portato a ridisegnare i percorsi migratori con un coinvolgimento via via crescente del territorio bosniaco: si stima che nel 2018 siano state almeno 25000 le persone transitate in Bosnia passando da Serbia e Montenegro, mentre nel 2019 i nuovi ingressi non supererebbero le 6000 unità.

La decisione è maturata a seguito di un’ispezione condotta da personale del SFA (Service for Foreigns’ Affairs) e da agenti della polizia presso la sede dell’organizzazione, in conseguenza della quale i volontari operanti si sono visti contestare l’accusa di “disturbare l’ordine pubblico” e di violare la legge che regola l’ingresso delle persone con un semplice visto turistico. Per alcuni di loro è scattato anche il provvedimento di espulsione immediata dal paese.

Nata nella seconda metà dello scorso anno, l’organizzazione era l’unica effettivamente attiva a Sarajevo e contava, oltre che su volontari locali, anche sull’operato di alcune decine di attivisti provenienti da mezza Europa e, persino, dagli Stati Uniti. Nei mesi di attività ha fornito rifugio a centinaia di persone, incluso il vasto sottobosco dei senzatetto bosniaci, assicurando loro un pasto caldo, vestiario e beni di prima necessità, oltre ad assistenza medica e psicologica e, persino, corsi di lingua.

Di fatto la Aid Brigade non era ancora un’organizzazione formalmente riconosciuta. E questo nonostante, a inizio anno, avesse fatto regolare richiesta per divenire, ufficialmente, una ONG (organizzazione non governativa): richiesta rimasta inevasa da parte delle autorità locali fino al giorno dell’ispezione, contestualmente alla quale è stato notificato il diniego.

Un problema politico

E’ evidente a questo punto come sia mancata la volontà politica nel sostenere l’azione di questa organizzazione, in linea con il trend generale cui si assiste da qualche tempo a questa parte in tutta Europa. L’episodio si inserisce perfettamente, infatti, in un contesto internazionale ove è sempre più evidente il tentativo di isolare, se non addirittura criminalizzare, l’operato delle ONG: basti pensare a quanto successo alle organizzazioni che operavano nel Mar Mediterraneo, come Sea Watch, SOS Mediterranee, tanto per citare le più note, ma anche allo smantellamento del modello Riace, per rimanere in ambito prettamente nazionale.

Intanto a Velika Kladusa, nel nord-ovest del paese, un vasto incendio ha provocato, il primo giugno scorso, la devastazione dello stabilimento industriale utilizzato come centro d’accoglienza per migranti. Al momento dei fatti erano ospitate quasi 700 persone ed una trentina di esse sono rimaste direttamente coinvolte riportando ustioni e ferite fortunatamente non gravi. Sebbene le indagini condotte dalla polizia abbiano escluso l’origine dolosa del rogo, resta comunque il sospetto che esso possa inquadrarsi in quel clima di montante intolleranza che sta trovando sempre più spazio anche in Bosnia. A Bihac, ad esempio, al confine con la Croazia e sede dell’altro grande punto di concentramento di migranti, la tensione con la popolazione locale è ai livelli di guardia al punto da spingere le autorità locali a chiederne l’immediata chiusura.

Malgrado i quasi 10 milioni di Euro messi a disposizione dalla Unione europea per supportare la Bosnia nella gestione dei flussi migratori, i 3500 posti complessivamente disponibili nelle diverse strutture dislocate in tutto il paese sono strapiene, costringendo molte persone a pernottare e vivere all’aperto. E visto da questa prospettiva risulta ancora più incomprensibile non aver consentito ad Aid Brigade la possibilità di continuare la propria azione.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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