TURCHIA: Il destino di Istanbul è in bilico

Istanbul, millenni di storia e ben due imperi che l’hanno resa capitale del mondo è oggi una megalopoli in bilico. Due papabili sindaci se la contendono, nonostante i risultati chiari delle elezioni amministrative tenutesi lo scorso 31 marzo, prontamente contestati dall’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi, Partito della Giustizia e dello Sviluppo, lo schieramento politico del presidente della Repubblica Turca Recep Tayyip Erdoğan) e successivamente annullati dall’YKS (la Commissione Elettorale Suprema della Turchia).

Perché perdere Istanbul non è solo una questione politica

Non è la situazione più auspicabile per una città di oltre 15 milioni di abitanti che si ritrova a gestire un debito di 22 miliardi di lire turche. Una responsabilità che secondo la testata online Al Monitor, non può non essere attribuita proprio all’AKP che la amministra dal 1994. Tuttavia, con un bilancio consolidato di quasi 60 miliardi di lire turche, composto dai contributi delle imprese municipali che forniscono i servizi essenziali quali, ad esempio, trasporti (IETT) ed acqua (ISKI) è chiaro che perdere Istanbul, seppur con tutti i suoi problemi di gestione, non è solo una questione politica, ma piuttosto economica. “Se perdiamo Istanbul, perdiamo la Turchia” ha più volte affermato il presidente Recep Tayyip Erdoğan. “Chiunque dovesse ereditarla si renderà conto che non ci sono le risorse per pagare i salari degli impiegati”, avrebbe sempre affermato Erdoğan durante la campagna elettorale, e questa è una diretta conseguenza della transizione al sistema presidenziale che toglie alle amministrazioni locali parte del potere per la gestione delle proprie finanze. Inoltre, molte di queste organizzazioni e tante delle fondazioni che hanno beneficiato dei contributi statali si sono conseguentemente affiliate al partito, o viceversa solo quelle connesse in qualche modo all’AKP sono state agevolate per l’attribuzione di appalti: cosa succederebbe se tutto questo dovesse passare nelle mani del CHP (Cumhuriyet Halk Partisi, Partito Popolare Repubblicano)?

Verso le rielezioni del 23 giugno: “andrà tutto bene”

Il sindaco di Istanbul verrà nuovamente rieletto il prossimo 23 giugno: una data più cruciale delle precedenti come dimostra la campagna pubblicitaria perpetrata da tutti gli enti turistici, dalle agenzie di viaggi alla stessa Pegasus airlines per invitare i cittadini a rinunciare alle vacanze post Ramadan appena concluso, offrendo sconti e rimborsi, pur di restare a casa a votare per quello che è stato accolto come un vero e proprio furto, almeno dai sostenitori di Ekrem İmamoğlu, il candidato del Partito Repubblicano che ha sfidato (e teoricamente battuto) l’avversario dell’AKP Binali Yildirim. Nonostante la batosta, #HerŞeyGüzelOlacak “andrà tutto bene” ha recitato l’hashtag ufficiale della campagna elettorale del prima ufficialmente eletto sindaco dell’opposizione. Originario delle rive del mar Nero tanto quanto Erdogan, İmamoğlu ha adottato un linguaggio completamente diverso che avrebbe conquistato le folle con un approccio più dolce ed umano che nulla ha a che vedere con l’atteggiamento autoritario degli avversari. “Quando ho iniziato a concorrere come sindaco lo scorso anno, avevo davanti a me un oppositore esperto e conosciuto. Eppure ho creduto di vincere perchè avrei coinvolto le persone direttamente, a prescindere dalla loro ideologia, dimostrando che la diversità può essere un segno di forza e non una debolezza”, ha scritto İmamoğlu in un articolo pubblicato dal Washington Post.

Il nuovo aeroporto di Istanbul: pro e contro di un “momumento alla vittoria”

Alcuni dei più grandi progetti infrastrutturali degli ultimi anni, come la costruzione del terzo ponte sul Bosforo o la più recente inaugurazione del nuovo aeroporto di Istanbul sono state gestite da aziende affiliate al governo, sebbene proprio il nuovo aeroporto può essere metafora di un “finto decollo” o piuttosto degli atterraggi di fortuna su cui l’AKP è ultimamente costretto a ripiegare.

L’hub principale del Paese che, anzi, punta ad essere il più grande del mondo entro il 2027 quando il suo ampliamento sarà completo e potrà accogliere oltre 200 milioni di passeggeri ogni anno, sostituisce il vecchio Atatürk di cui non ha mantenuto il nome. Che sia un modo per evitare della confusione, sebbene il precedente aeroporto attualmente ospita solo i voli cargo, il mancato rinnovamento potrebbe essere anche testimoniare una scelta ben precisa. Il volto del fondatore della nazione turca resta appeso ad ogni ingresso dell’immenso edificio, ma affiancato da un’altrettanta gigantografia dell’attuale presidente Erdogan. Il nuovo aeroporto di Istanbul, infatti, copre una superficie di 76,5 km², è sei volte più grande di Heathrow a Londra e 175 volte Città del Vaticano, ma soprattutto si trova ad oltre 20 miglia di distanza dal centro di Istanbul, per la precisione geograficamente collocato nel distretto di Arnavutköy, a nord ovest del Bosforo. Più che un “semplice” aeroporto (si fa per dire) è stato ufficialmente definito come “un monumento alla vittoria”, ma di cosa e soprattutto di chi, esattamente? Anche qui i problemi non mancano: il terreno su cui è stato costruito a circa 60 metri sul livello del mare, affacciandosi sul Mar Nero sarebbe alquanto precario e soggetto a frane, nonchè a venti e nebbie che spesso costringono a dirottare i voli sul secondo aeroporto di Sabiha Gökçen o addirittura fuori dalla città, come dimostra la testata turca online Ahval.

Ancor peggio il conclamato numero di operai morti che hanno contribuito con la loro stessa vita alla costruzione di quest’opera mastodontica realizzata in tempi altrettanto record per avere la massima visibilità durante l’ultima campagna elettorale da poco trascorsa. Secondo i sindacati, almeno 400 persone avrebbero perso la vita sul cantiere, uno dei leader sindacali sarebbe stato arrestato insieme a 30 operai per le loro rivendicazioni sulle condizioni di sicurezza e sui salari. Sebbene, infatti, l’inaugurazione sia avvenuta il 29 ottobre 2018, la piena operatività si è raggiunta solo lo scorso Aprile. Infatti, i gruppi Facebook degli Italiani ad Istanbul tracimano di commenti negativi a riguardo: dalle moquette incollate alla ben e meglio, alle insegne ancora provvisorie, i prezzi dell’area duty free sembrerebbero eguagliati se non maggiorati rispetto ad altre realtà europee, ma soprattutto è difficile gestire la confusione generata dai 114 gate per ora raggiungibili esclusivamente a piedi.

L’intero progetto ha visto la distruzione dell’ennesima area verde, ma ha creato migliaia di posti di lavoro (circa 10000 di cui 4600 solo ad inizio 2019 tra membri del personale di volo e di terra) per un totale futuro di circa 225000 impieghi. A beneficiarne è in particolare la compagnia di bandiera Turkish airlines che ha di recente celebrato il suo 86esimo anniversario. Oltre alle nuove assunzioni, da oltre tre anni la compagnia ha lanciato un progetto di addestramento di piloti cadetti attraverso la sua accademia proprio in vista dell’apertura del nuovo aeroporto di Istanbul. Un investimento complessivo che ammonta a 1.2 mld di euro quando in un decennio il Paese spera di ricavarne ben 22, sebbene, come testimoniato da Bloomberg, gli stakeholders stiano già iniziando a vendere le loro quote.

Nuove moschee e neo-Ottomanesimo

Appena usciti dal complesso aeroportuale già dotato di un’area interna per la preghiera, è impossibile non notare il cantiere di una nuova moschea. La costruzione di nuovi luoghi di culto è parte di un piano infrastrutturale che da quasi un decennio interessa la Turchia e i Paesi su cui esercita una certa influenza (come la Bosnia-Erzegovina ancora interessata da una massiccia ondata di ricostruzioni post-conflitto). Sempre di recente, il 3 maggio scorso, è stata inaugurata la moschea di Çamlıca, sul lato asiatico della città, la cui cerimonia è avvenuta alla presenza di leader quali i presidenti di Senegal, Guinea, Palestina, Afghanistan, Azerbaigian, Tunisia e, per l’appunto, Bosnia-Erzegovina. La grande moschea di Çamlıca piò ospitare ben 63000 fedeli ed è visibile da ogni angolo della città, complice la collocazione su una piccola altura. Farebbe parte di un complesso che comprende un museo d’arte turca-islamica, una biblioteca, una galleria d’arte, e una sala conferenze. Parlando per numeri che non si limitano solo ad ostentare grandezza, ma nascondono un significato più profondo, come ha raccontato Mariano Giustino di Radio Radicale tramite Twitter nei giorni dell’apertura, nella moschea a 6 minareti come 6 sono le credenze dell’Islam, il nome di Allah è inciso nella cupola per 16 volte a simboleggiare il numero di stati fondati dai turchi. La cupola principale è alta 72 metri per rappresentare le 72 nazioni che convivono nella città di Istanbul. La seconda, invece, ha un diametro di 34 metri, come il numero della targa automobilistica di Istanbul. 4 di questi sono alti 107,1 metri e anche questo non è un caso: 1071 è l’anno della battaglia di Marzikert con la cui vittoria i turchi-selgiuchidi iniziarono la loro dominazione. Un chiaro esempio di ciò che viene definito neo-Ottomanesimo, la politica avviata dall’ex Primo Ministro Ahmet Davutoğlu (AKP) che ribadisce la centralità della Turchia tra Europa e Medioriente come detentrice di una tradizione di grandezza.

Ma è ancora il tempo di ostentare qualcosa che, forse, non fa che continuare a prosciugare le casse del Paese? E soprattutto, riusciranno le parole più attuali di un’alternativa semplice come quella di Imamoglu a sradicare i sultani?

(photo credits: Ozan Kose/AFP)

Chi è Eleonora Masi

Classe 1990, una laurea in Relazioni Internazionali ed esperienze in Norvegia, Germania, ma soprattutto Turchia, di cui si occupa dal 2015. Oltre a coordinare la redazione dell'area del Vicino Oriente per East Journal svolge il ruolo di desk per The Bottom Up mag. Ha ideato e prodotto il podcast "Cose Turche" che racconta gli ultimi 10 anni della Turchia dal punto di vista dei millennial che li hanno vissuti sulla loro pelle.

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