di Silvia Padrini
Frontex, questo sconosciuto. La maggior parte dei cittadini italiani ed europei ne sa poco, se non nulla. L’operato del Frontex, invece, andrebbe tenuto sotto riflettori ben accesi. L’agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione tra stati membri in materia di sicurezza ai confini, oltre a mobilitare ingenti risorse e mezzi, ha infatti acquisito nel corso degli ultimi anni una straordinaria importanza ed un’autonomia alquanto insolita per un’istituzione dell’UE.
Nonostante lo slogan ufficiale annunci “Libertas – Securitas – Iustitia”, il Frontex è stato più volte chiamato in causa dai media –soprattutto quelli indipendenti- per le palesi violazioni dei diritti umani perpetrate dalla polizia di frontiera ai danni dei migranti intercettati e per le irregolarità nella verifica di sussistenza delle condizioni per la richiesta di asilo politico.
È del 21 settembre scorso l’ultima brutta notizia dai confini: Human Rights Watch denuncia numerosi abusi nelle operazioni effettuate -e tuttora in corso- in Grecia. La denuncia – scaturita da un sopralluogo sul posto da parte di operatori della ong – parla di trattamenti inumani e degradanti inflitti alle moltissime persone fuggite dai propri paesi d’origine e ora recluse all’interno dei centri di detenzione sparsi sul territorio greco. Un trattamento degradante tipico consiste nell’essere costretti a vivere in uno spazio troppo stretto o troppo affollato: nel dicembre 2010 la stazione di polizia di Feres tratteneva 97 detenuti, donne e uomini, avendo la capacità di ospitarne al massimo 30.
Quella greca è certamente la situazione più critica: lo stato ellenico rappresenta oggi la porta principale (sebbene sbarrata) per chi spera di entrare nella reggia fortificata chiamata Europa. La pressione migratoria tra la Turchia e la Grecia è al limite del sostenibile. Inoltre, la politica di brutale respingimento messa in atto è deleteria, perché è paragonabile alla costruzione una diga senza prevedere l’adeguato deflusso: la pressione dell’acqua, presto o tardi, sfonderà le barriere e farà danni incontrollabili.
L’operazione RABIT lanciata nel 2010, ovvero il pronto intervento in caso di emergenza con l’invio di squadre di polizia di frontiera dai paesi membri, è evoluta nel giro di pochi mesi in un presidio permanente nel mar Egeo, definito missione Poseidon. Il Frontex costa non poco all’Unione Europea: il budget previsto per l’anno 2011 è di circa 88 milioni di euro e ogni anno la cifra si gonfia di una manciata di milioni. L’agenzia di sicurezza di frontiera giustifica questo generoso portafoglio dichiarando che, ad esempio, alla fine di novembre 2010 gli immigrati regolari che varcavano il confine Turchia-Grecia sono diminuiti del 44%. Inevitabile domandarsi: Dove sono finiti? Che trattamento hanno subito?
Il Frontex mobilita risorse materiali degne di un’operazione bellica. Anche le strategie d’azione fanno apparire lontana e sfocata quell’idea di pace, cooperazione e solidarietà sulla quale abbiamo costruito la nostra idea di Unione Europea.
L’intento dell’agenzia è quello di allungare i propri tentacoli al di fuori dell’Europa per costruire un fossato sempre più largo intorno alla fortezza. Nel febbraio 2011, Frontex ha concluso accordi di cooperazione con molti paesi terzi tra cui Federazione Russa, Moldavia, Serbia, Georgia e Ucraina. Altri otto paesi non hanno ancora risposto all’appello e, tra questi, l’anello mancante cruciale è la disponibilità di Ankara. Come si legge nelle note ufficiali dell’agenzia europea “la cooperazione turca sarebbe molto benvenuta”. La strategia è sperimentata: il braccio armato della pacifica Unione Europea in passato si è già spinto fino alle Canarie e all’Africa Occidentale, adottando senza scrupoli la filosofia del “prevenire è meglio che curare”.
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Posto che sono sostanzialmente d’accordo con te, faccio l’avvocato del diavolo. Perché l’Unione non dovrebbe costruire un fossato intorno a sé, respingendo l’immigrazione clandestina e favorendo, invece, quella on-demand? Lo dico con cinismo polemico: se all’Europa servono dieci braccia, perché prenderne cento? Sono d’accordo che l’immigrazione è necessaria, ma occorre regolarla alla bisogna. Frontex è la manopola sul rubinetto. O no?
E poi: la solidarietà sulla quale -dici giustamente – abbiamo fondato la nostra (di europei) idea di Europa, è una solidarietà tra europei. Chi è fuori non ci riguarda. L’Unione Europea non è gli Stati Uniti, non ha una missione universalistica, è avvitata su se stessa, necessariamente “eurocentrica”. Che poi nemmeno la solidarietà tra europei funzioni bene, la dice lunga…vedi crisi economica in corso.
Infine, i paesi terzi. L’esternalizzazione pare tanto un “fatta la legge, trovato l’inganno”, su questo non ribatto, ma che la Frontex sia “il braccio armato della pacifica Unione Europea” mi sembra eccessivo. E poi, perché mai dovrebbe essere pacifica? Democrazia e difesa vanno di pari passo, o no?
Ok, spero di aver fatto un buon servizio al diavolo…
Matteo
A mio parere Frontex è (l’ennesimo) capro espiatorio dei governi nazionali: un’agenzia europea con pochi fondi, e costretta per mandato a non interessarsi della maniera in cui la Grecia tratterà poi i richiedenti asilo che Frontex gli riconsegna. Externalise & scapegoat…
E’ inevitabile che si passi un giorno ad una polizia di frontiera europea, ma per ora Frontex può solo offrire formazione alle guardie nazionali, non ha potere di sostituirvisi nè dispone di equipaggiamenti propri. Una riforma di Frontex, d’altronde, è nell’aria: più autonomia, risorse proprie, e un mandato più esteso. Dettagli seguiranno appena ho qualche tempo… 🙂
al piacere di rileggerti!
Davide
Avvocato del diavolo a parte. @ Davide: sei certo che Frontex non abbia mezzi propri? ricordo l’invio di qualche elicottero dopo il cri de douleur di Maroni nel pieno del casino lampedusano. Lo stesso Maroni che, come dici bene, ha poi dato la colpa “all’Europa” di non aiutarlo nei respingimenti.
@Silvia: l’articolo, in sostanza, mi pare suggerisca che l’Unione sia colpevole di doppiezza: da un lato parla di diritti umani, dall’altra li nega (con la Frontex?). Ecco, questo mi sembra fuorviante, poiché la Frontex ha poteri limitati. O sbaglio?
L’Europa ha scelto volontariamente di creare numerosi strumenti giuridici a tutela dei diritti umani e sempre di più stiamo andando in questa direzione, senza contare le innumerevoli firme frettolose che gli stati europei hanno apposto in fondo ad altrettanti trattati a tutela di questo e contro quest’altro. Io penso che le leggi non siano solo parole. Accettare quotidiane violazioni come “fisiologiche” significa svuotarle di significato, le leggi. Invece, di per sè, le parole implicano un ragionamento condiviso e hanno una potenza che non è paragonabile a nient’altro. Anche perchè quando esiste una norma non si parla più di moralità, di chi è buono è chi è cattivo; si tratta solo di rispettare impegni presi consapevolmente.
Il prembolo della Carta fondamentale dei diritti dell’Ue dice che “l’Unione si fonda sui valori indivisibili e UNIVERSALI di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà.” Diritti universali, quindi, non di cittadinanza.
L’articolo 4 ci ricorda che “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Voglio forse attaccarmi ai cavilli e mi manca la dose necessaria di realismo? Non credo, penso invece che quando si tratta di “nostri” diritti ci scaldiamo per molto meno. Situazioni al limite come quelle delle frontiere greche non si possono considerare nè danni collaterali, nè “la dura realtà”, nè il prezzo da pagare per difendere la nostra democrazia. Dovrebbero invece indurci a mettere in discussione la nostra stessa identità.
Per quanto riguarda le risorse limitate e la mia espressione -provocatoria- che vede il Frontex come il braccio armato dell’Ue: 26 elicotteri, 22 aerei leggeri e 113 navi non saranno l’esercito statunitense, ma non sono certo insignificanti. Non credete?
Consiglio a tutti di dare un’ occhiata all’ultimo report di Human rights watch. Non cambierete idea sull’ utilità dell’agenzia ma ci facciamo tutti un’idea più realistica, forse. http://www.hrw.org/node/101671/section/1