di Davide Denti
DA BRUXELLES – 1981-2011, da trent’anni la Grecia è membro della CEE e dell’UE. Un percorso affrettato, che ha lasciato troppe questioni in sospeso: da Cipro alla Macedonia, alle mancanze della burocrazia e dello stato di diritto. Un “ventre molle” che oggi minaccia l’intera Unione.
Grecia e Turchia, un cammino parallelo
Grecia e Turchia iniziano in parallelo il loro cammino verso l’integrazione europea: nel 1961, appena quattro anni dopo la firma del Trattato di Roma che istituisce la CEE, il Protocollo di Atene segna l’associazione della Grecia alla comunità; poco dopo, il protocollo di Ankara (1963) fa lo stesso per la Turchia. Entrambi i protocolli di associazione hanno un chiaro valore di pre-adesione; i due paesi mediterranei sono considerati di diritto membri della comunità europea che si sta formando.
Tuttavia i rapporti di associazione si raffreddano presto: la Grecia cade nell’instabilità politica a partire dal 1965, con un regime militare che si installa nel 1967; la situazione si disgela solo negli anni ’70: assieme alla Grecia, anche Spagna e Portogallo tornano ai governi civili tra il 1974 e il 1976. Per i tre paesi mediterranei, l’adesione alla CEE rappresenta anche una prospettiva di ancoraggio democratico. La Grecia viene subito ammessa nella Comunità, nel 1981, mentre Spagna e Portogallo devono attendere un periodo di transizione, fino al 1986: Mitterand si era inizialmente opposto, per timore di un annacquamento della CEE. La Turchia, intanto, rimaneva in lista d’attesa.
La questione (irrisolta) di Cipro
Nel frattempo, gli stessi anni vedono incancrenirsi la questione di Cipro: sull’isola, il regime militare greco aveva spinto per un golpe che portasse all’unificazione (“enosis”) con la penisola ellenica. Tale mossa aveva provocato l’intervento in armi della Turchia, una delle potenze garanti di Cipro secondo il trattato di Zurigo del 1959. Anche a seguito della caduta del regime greco e del ritorno di un governo civile ad Atene, Ankara aveva continuato l’occupazione della parte nord dell’isola. Atene nel frattempo continua a sostenere le autorità greco-cipriote.
Dopo un decennio di tranquillità negli anni ’80, i problemi della Grecia riappaiono negli anni ’90 come problemi dell’UE. In primis, Cipro: nel round di negoziati verso l’adesione dei paesi dell’Europa centro-orientale all’Unione, la Grecia impone che sia inserita anche Cipro come contropartita per non bloccare i paesi post-socialisti. Cipro sale così sul treno dell’integrazione europea, senza che alcuno dei suoi problemi politici, economici e sociali sia stato risolto. Arraffazzonato in tutta fretta il piano Annan, questo viene silurato dalla scelta di tenere il referendum sulla riunificazione dopo l’ingresso nell’UE, anziché prima: così che i greco-ciprioti votano no, ed oggi dalla posizione di forza di paese membro possono mettere il veto ad ogni ulteriore negoziato di adesione della Turchia, che si sta stufando di attendere.
Il veto sulla Macedonia
In secondo luogo, la Macedonia: a partire dall’indipendenza, neanche troppo voluta, della repubblica jugoslava di Macedonia nel 1995, Atene si oppone in ogni sede a che il nuovo stato utilizzi il nome di Macedonia e si riallacci alla tradizione ellenistica di Alessandro Magno: secondo i governanti greci, si tratterebbe di un attentato alla tradizione greca da parte della popolazione slava e albanese della repubblica di Skopje, oltre che di una possibile futura rivendicazione territoriale sui più ampi territori della Macedonia storica. E così, Skopje deve farsi chiamare FYROM all’ONU, ha il suo ingresso nella NATO bloccato sin dal 2009, e i negoziati per l’ingresso nell’UE non sono mai iniziati, seppure l’Unione abbia concesso nel 2005 al paese lo status di candidato. Il tutto, per l’impuntatura di Atene.
Trattamento disumano ai richiedenti asilo
Ma non sono solo i nodi geopolitici a venire al pettine: con la sentenza M.S.S. contro Belgio e Grecia, del 2009, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato i due stati per il trattamento disumano e degradante subito abitualmente dai richiedenti asilo nel paese ellenico. Così è stata messa la parola fine alla presunzione di parità degli standard di trattamento di rifugiati e richiedenti asilo nei paesi Schengen: secondo il regolamento UE “Dublino-2”, infatti, il primo paese di ingresso di un richiedente asilo è il paese competente a trattarne la domanda, e tale persona può esservi rispedita se viene trovata altrove.
Un’economia alla sfascio (dell’euro)
Infine, e questione non da poco, i conti economici: la Grecia è oggi il paese dell’UE a maggior rischio di bancarotta. Entrata nella prima fase dell’euro per il rotto della cuffia nel 2002 (secondo alcuni solo grazie ad aver truccato i conti), Atene rischia oggi di far fallire l’intera moneta unica a causa dell’enorme debito pubblico accumulato, e tenuto nascosto per anni dai governi del partito Nuova Democrazia.
Cipro, Macedonia, euro e rifugiati. A vedere i grattacapi che Atene dà oggi all’Unione, viene da chiedersi: non sarebbe stato meglio fare senza?
Raccolgo subito la provocazione di Davide. La Grecia è un disastro, è stata “presa dentro” per questioni geostrategiche legate al mondo della Guerra Fredda, certo non per meriti. Da sempre preda di fascismi e populismi, si è mangiata con le proprie fauci e ora – al collasso economico – rischia di mangiare anche l’Europa. L’atteggiamento con la Macedonia è ridicolo quando non vergognoso. Quello con Cipro è figlio di un errore dell’Unione. Quest’Europa è come un equazione di quelle che ci fai un errorino minuscolo al secondo passaggio e poi ti ritrovi con un pasticcio del quale non capisci la causa. E non puoi semplificare alla fine. Che fare? resto dell’idea che – quali siano le colpe – si debba insistere sulla solidarietà fra stati (oggi pressoché assente) creando un’Unione politica che dirima le questioni turca, macedone e cipriota, ma soprattutto decida dei conti dei vari membri. Oggi la Grecia, e il suo marasma, sono un’occasione per l’Europa… forse, se tutto andrà bene, alla fine li potremo anche ringraziare.
Matteo
Decisamente una provocazione a pieno titolo.
Mi piace pensare, però, che la storia non si fa con i se e con i ma, e quindi neppure con i “sarebbe stato meglio”. Il punto è anche quale si considera la condizione per entrare a far parte dell’Unione europea, e quindi l’idea di Ue stessa. Se quello alla base è un progetto che da economico diventi politico, escludere la Grecia da una possibile Europa unita avrebbe potuto essere davvero imbarazzante. Se invece l’obiettivo era (è) contrapporre ad altre potenze una potenza economica, militare (e perchè no politica) da contrapporre ad altre potenze, perchè lasciar entrare l’Italia, con i suoi conti non in regola, la Spagna, la Romania, ben presto (troppo presto?) la Croazia che si porta appresso ancora molti problemi irrisolti?
Mi piace pensare che nel progetto originario di Europa ci fosse l’idea di un’Europa federale, com’era nelle idee di Spinelli, Rossi e Hirschmann, e che per superare i problemi attuali e quelli che ci portiamo dal passato (si veda Cipro, Macedonia…) si debba andare in quella direzione.
Salve tutti. Sono uno studente di scienze politiche di Messina e devo fare una tesina sulla crisi economica greca e sulla sua risoluzione. L’impronta fondamentale dev’essere quella di analizzare le due principali strade percorribili, cioè il pagamento del debito pubblico greco o l’esclusione (o l’auto-esclusione) della Grecia dall’UE. Mi sapreste indicare qualche sito governativo o comunque qualche fonte ufficiale dalla quale trarre informazioni utili? Vi ringrazio in anticipo e mi scuso per la mia evidentissima e probabilmente grave inesperienza.