di Matteo Zola
Ne abbiamo già parlato, ma vale la pena tornarci su. Qualche giorno fa il ministro dell’economia polacco, Jazek Rostowski, di fronte al Parlamento europeo ha evocato una possibile guerra in Europa a seguito della crisi economica. Suggestioni di un polacco, abbiamo detto. “La possibilità di ritrovarsi coinvolti in una guerra nel medio periodo –scriveva Davide Denti – non è assente dalla mentalità polacca. Sarà forse per colpa della storia o della geografia“. Che i polacchi siano i primi ad accorgersi con anticipo dei più gravi rivolgimenti della Storia, è altra cosa che abbiamo detto. Certo, in genere sono scrittori, poeti, pittori, che nelle loro opere prefigurano la catastrofe pur individuandone con una certa precisione l’origine. Non politici, comunque. L’uscita di Rostowski, però, non viene dal nulla. E’ stata la holding bancaria svizzera Ubs che il 6 settembre ha pubblicato un dossier intitolato Euro Break Up: the Consequences, firmato dagli analisti Stephane Deo, Paul Donovan e Larry Hathaway. Un documento snello, appena 21 pagine, che dimostra che per risolvere la crisi dell’euro non ci sono scorciatoie, che tutti i discorsi sull’espulsione di un membro sull’orlo del crack o la defezione di uno stato che volesse sfuggire alla crisi non hanno senso.
Una guerra è stata anche la via d’uscita della grande crisi del 1929. Ma non cerchiamo nefasti precedenti. Si dice sempre che la guerra sia la panacea di tutte le crisi economiche, a volte ne è l’estrema conseguenza e poi, al di là da ogni meccanicismo teorico, l’economia e la guerra sono cose d’uomini, decise da uomini per motivi da uomini: ambizioni, interessi personali, affari. Quindi? ci sarà una guerra in Europa? sembra inverosimile ma – forse – anche a Chamberlain lo sembrava. O almeno all’uomo della strada di qualche conflitto fa.
La guerra, però, potrebbe essere la causa di questa crisi. Innocenzo Cipolletta, economista e presidente dell’Università di Trento, autore dello studio “Politici, banchieri, militari”, spiega nel suo lavoro che che l’aumento delle spese dovute alle campagne di guerra degli Stati Uniti abbia portato e porti a squilibri economici interni che a loro volta creano un aumento indiscriminato della liquidità e pertanto all’evoluzione di bolle finanziarie che prima o poi scoppiano, portando alla recessione ed alla crisi come quella in cui ci troviamo. In questa situazione l’Europa, “unica vera innovazione dopo le nazioni”, sarà una soluzione per la crisi, anche se appare irrazionale perché “ancora non esiste politicamente”. L’Europa unita – davvero unita, non con le monetine – potrebbe essere dunque l’alternativa alla catastrofe.
La guerra, a sentire Cipolletta, causa la crisi. Quella americana non uccide noi, abili alle armi, né i nostri padri, ma tocca il nostro portafoglio uccidendo il nostro futuro. C’è però un’ipotesi contraria: che la politica dei “muscoli” e non della “ragione” finora portata avanti dagli Stati Uniti accechi le classi dirigenti avvitandosi su sé stessa fino al tragico finale. Ma proprio l’Europa deve essere scenario di questa tragedia?
Più volte abbiamo detto, polemicamente, che l’Europa è “serva di due padroni”: vassalla dell’esercito americano e dell’energia russa. Tra questi due poli, non più gli unici poli mondiali però, c’è la vecchia Europa: mai debole e divisa come ora. Quando si è divisi, dice il nostro inno nazionale, si è derisi ma soprattutto calpesti da potenze straniere. Sul fronte orientale dell’Unione Europea da sempre c’è un poco di frizione col vicino russo. Che quella frizione sia il risultato delle paure ataviche dell’Europa orientale nei confronti della grande Russia sommate all’aggressiva politica americana (leggi “scudo spaziale”) è altra cosa su già abbiamo riflettuto.
Fantapolitica, vero. Ma la distruzione dell’Europa per causa endogena (la crisi economica è anche colpa nostra, delle nostre “deregulation” neoliberiste) e la frantumazione continentale sommata alla crisi globale porterebbe a scenari difficilmente immaginabili. Questo dice in sostanza il rapporto Ubs. “I costi economici dello scioglimento dell’euro sono molto alti ed estremamente dannosi. Quelli politici sono talmente grandi da non essere quantificabili in soldi”, concludono gli analisti svizzeri. La fine dell’euro è un’ipotesi da non accarezzare troppo. E nemmeno le sirene che cantano guerra vanno ascoltate. Eppure la guerra sembra stare proprio sulle ginocchia di chi se ne allarma. O se ne compiace. Forse anche sulle nostre. Meglio tacere, dunque, come intima la Merkel: “per non spaventare i mercati”. Per me, io sono già abbastanza spaventato così, e tornano alle labbra versi dimenticati al liceo: Europa Europa che mi guardi / scendere inerme e assorto in un mio / esile mito tra le schiere dei bruti, / sono un tuo figlio in fuga che non sa / nemico se non la propria tristezza.