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KOSOVO: Polemiche con la Turchia. Cosa c’è dietro lo scontro con Erdogan?

Il Kosovo e la Turchia sono ai ferri corti. I due paesi, storicamente legati da una partnership politica ed economica, stanno difatti vivendo una seria crisi diplomatica, scaturita dall’arresto di sei cittadini turchi avvenuto in Kosovo lo scorso 29 marzo. Gli arrestati erano membri delle scuole legate a Fethullah Gülen, da anni nemico giurato del padre-padrone della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. Proprio mentre Erdoğan esultava per la deportazione dei sei uomini in Turchia, però, il primo ministro kosovaro Ramush Haradinaj ha condannato l’operazione. Ne è scaturito un violento e prolungato scontro verbale tra i leader dei due paesi. Una crisi sorprendente, le cui radici sono da ricercare soprattutto nell’intricata politica interna kosovara.

Gli arresti

Il 29 marzo sei persone di nazionalità turca regolarmente residenti in Kosovo, tra cui direttori ed insegnanti che operavano in istituti scolastici, sono state arrestate e deportate in Turchia a seguito di un’operazione congiunta tra servizi segreti turchi e kosovari. Le scuole in cui lavoravano gli arrestati erano legate alle fondazioni di Gülen, influente politico turco guida del movimento Hizmet, che vanta una fitta rete di scuole in tutto il mondo. Gülen è accusato dal presidente turco Erdoğan di essere il responsabile del tentato colpo di stato verificatosi in Turchia nel 2016. Da allora, le pressioni del presidente turco sui partner balcanici, Kosovo in primis, per far chiudere ogni struttura educativa legata ai gulenisti sono diventate sempre più forti, culminate negli ultimi arresti.

Il botta e risposta Haradinaj-Erdoğan

Poche ore dopo gli arresti, però, il premier kosovaro Haradinaj ha denunciato pubblicamente di essere totalmente all’oscuro dell’operazione, promettendo di fare chiarezza. I provvedimenti non si sono fatti attendere: già il giorno dopo il ministro dell’Interno e il capo dei servizi segreti sono stati rimossi dai loro incarichi. Haradinaj inoltre ha definito gli arresti e le deportazioni come totalmente inaccettabili.

La presa di posizione di Haradinaj non è passata inosservata dalle parti di Ankara. Erdoğan ha definito la decisione del Kosovo di destituire il ministro e il capo dell’intelligence un errore storico, ha accusato Haradinaj di proteggere dei terroristi e ha apertamente minacciato di fargliela pagare. Una minaccia rispedita al mittente dallo stesso premier kosovaro, che ha ricordato ad Erdoğan di non interferire negli affari interni di uno stato sovrano.

Un rapporto profondo

L’escalation della crisi tra Ankara e Pristina ha sorpreso tutti. I due paesi, difatti, sono profondamente legati dal punto di vista politico, economico e culturale. La Turchia è stata tra i primi paesi a riconoscere l’indipendenza del Kosovo nel 2008 e da allora ha sempre sostenuto Pristina nelle sue sfide internazionali. La Turchia è inoltre uno dei principali partner economici del Kosovo, sia in termini di investimenti statali che di scambi commerciali. Aziende turche sono protagoniste nella costruzione delle autostrade, nella gestione dell’aeroporto di Pristina, nelle privatizzazioni delle reti energetiche. Dal punto di vista culturale, infine, l’agenzia di cooperazione turca è stata in questi anni impegnata nel restauro di diverse opere di epoca ottomana e nella costruzione di nuove moschee in tutto il paese.

La regia di Thaçi

Alla luce di un tale rapporto, dunque, la crisi attuale sembrerebbe inspiegabile. In realtà, una buona parte di motivazioni sono da ritrovare in vicende tutte interne alla politica kosovara. Mentre Haradinaj si scontrava verbalmente con Erdoğan, difatti, ben diversa è stata la linea assunta dal presidente della Repubblica, Hashim Thaçi. Thaçi ha di fatto difeso l’operazione, rivelando come i sei arrestati fossero un pericolo per la sicurezza nazionale del Kosovo. Un comportamento subito ripagato da Erdoğan, che alle minacce ad Haradinaj ha aggiunto un sentito ringraziamento al presidente kosovaro per la collaborazione. Se Haradinaj era all’oscuro dell’operazione, dunque, è piuttosto improbabile lo fosse anche Thaçi: uomo forte del Kosovo da vent’anni, è noto il controllo che l’attuale presidente ha sui servizi segreti e le forze di polizia.

Le motivazioni

Alla luce di questo, diverse sembrano essere le motivazioni dietro all’arresto dei gulenisti. Da un lato, emerge la volontà di Thaçi di indebolire Haradinaj, anche alla luce della storica rivalità che intercorre tra i due. In questo momento, difatti, la tenuta dell’esecutivo è quanto mai in bilico, minata dall’uscita della Lista Srpska dalla maggioranza a seguito dell’arresto del funzionario serbo Marko Đurić. Molti analisti ritengono che il governo abbia le ore contate e certamente il recente allontanamento del ministro degli Interni, appartenente ad un piccolo partito della coalizione, rischia di essere l’ultima goccia.

Dall’altro lato, Thaçi ha probabilmente voluto rafforzare l’asse con Erdoğan, con cui intercorre un forte legame politico da molti anni. Eseguendo gli ordini del sultano, il presidente kosovaro si è assicurato un sostegno prezioso per gli anni a venire, che certamente potrà tornare utile nel complesso quadro politico del Kosovo e di tutta la regione balcanica.

Chi è Riccardo Celeghini

Laureato in Relazioni Internazionali presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, con una tesi sui conflitti etnici e i processi di democratizzazione nei Balcani occidentali. Ha avuto esperienze lavorative in Albania, in Croazia e in Kosovo, dove attualmente vive e lavora. E' nato nel 1989 a Roma. Parla inglese, serbo-croato e albanese.

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Un commento

  1. Più che uno Stato sovrano, a me sembra uno Stato impossibile. Questa è la fine di tutte le autonomie che, con i soldi degli altri, sembrano giuste e ragionevoli ma, finiti quelli, a pagare il conto con gli interessi non ci stanno più. La gratitudine non abita da quelle parti.-

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