Una canzone orecchiabile e un ritornello gridato da bambini. A molti verrebbe in mente un celebre brano dei Pink Floyd del 1979, che viene spesso interpretato come una critica a un sistema educativo autoritario. La canzone di cui parliamo, al contrario, esalta proprio la fedeltà a un leader autoritario, il presidente russo Vladimir Putin. Nella canzone Djadja Vova siamo con te (“Zio Vova”, dal diminutivo del nome Vladimir, ndr) i bambini si dichiarano pronti a combattere a fianco del loro comandante in un’ultima battaglia. La canzone, originariamente scritta da Vjačeslav Antonov, ha ricevuto una discreta attenzione mediatica quando la deputata di Russia Unita, Anna Kuvyčko, ha deciso di interpretarla insieme ai cadetti di una scuola di Volgograd. Il videoclip impressiona anche uno spettatore che non parla una sola parola di russo: bambini in divisa cantano con sguardi fieri e decisi, accompagnati da una carrellata di immagini di Volgograd, la fu Stalingrado, città dove nel 1943 i sovietici sconfissero i nazisti. Il brano, a ben vedere, non nasce dal nulla, ma è bensì figlio di un contesto più ampio, di due tendenze visibili e tra loro correlate: un processo di mitizzazione del passato militare e l’educazione al patriottismo rivolta ai più giovani.
https://www.youtube.com/watch?v=-AViL_Q7t5k
La militarizzazione dell’identità
La crisi dell’identità russa post-sovietica è un argomento largamente discusso: la caduta dell’Unione Sovietica ha rimesso in discussione i valori fondanti dello stato ed è noto come i valori tradizionali e la religione ortodossa abbiano in buona parte colmato il vuoto lasciato dalla scomparsa dell’ideologia comunista. Una società smarrita e senza punti di riferimento può trovare la base della propria identità in un passato glorioso: quali avvenimenti più gloriosi di guerre e battaglie da cui si è usciti vincitori? D’altronde, per citare Renan nel suo Cos’è una nazione?: essere un popolo coincide anche con l’avere condiviso momenti gloriosi in passato, l’aver compiuto grandi imprese e desiderare di compierne altre. La sofferenza condivisa e i sacrifici compiuti sono, secondo una delle più famose teorie del nazionalismo, un importante prerequisito per la costruzione di un’identità nazionale.
Un ottimo esempio di questa tendenza è stato individuato da Egor Isaev, che, in una recente analisi dedicata a come il tema viene affrontato nel cinema, ha evidenziato come i riferimenti a un passato eroico siano aumentati e siano prevalentemente collegati alle vittorie in ambito militare. Le pellicole a sfondo storico-militare, infatti, fanno parte dei film considerati socialmente significativi, di cui vengono incoraggiate la produzione e la diffusione. In modo prevedibile, anche la cultura di massa è uno strumento per propagare un’immagine gloriosa del passato e per educare la cittadinanza al patriottismo. Lo stesso ministro della cultura Medinskij è anche presidente della Società militare-storica russa, che si pone il simile obiettivo di studiare e popolarizzare la storia militare del paese.
L’educazione patriottica
L’idea di educare la cittadinanza al patriottismo è nata nel 2001, quando è stato emanato il primo “Programma statale per l’educazione patriottica dei cittadini della Federazione russa per gli anni 2001-2005“, che si rinnova ogni cinque anni. Rivolto a tutti gli strati sociali e a tutte le età, il programma si proponeva di contrastare la graduale perdita di patriottismo dell’epoca, come si legge nel preambolo. Un’idea che quindi non nasce negli ultimi anni – che con la questione ucraina hanno visto una rinascita del sentimento nazionale – ma presente fin dalla prima presidenza di Putin.
“Formare la disponibilità dei cittadini russi a servire la patria” è uno dei cardini del programma, che si rivolge specialmente ai più giovani. In 78 soggetti della Federazione russa sono stati creati centri di educazione militare-patriottica e di preparazione dei giovani russi al servizio militare, come si legge nella più recente versione del programma, relativa agli anni 2016-2020. Secondo quest’ultimo, si registra una tendenza in crescita, a dimostrazione della quale si citano dati concreti; tra questi, le oltre 22000 organizzazioni e club che servono la causa. Un numero che probabilmente include anche le organizzazioni presenti in Crimea, dove dal momento dell’occupazione si registra la stessa tendenza, insieme a un chiaro tentativo di rappresentare l’annessione quale momento di “ripristino della giustizia storica”, come si legge in un report dedicato all’argomento. D’altronde, anche i bambini di Djadja Vova cantano “Sebastopoli è nostra e preserveremo la Crimea per i posteri”, mentre gli adulti sperano che nella penisola ci si abitui presto all’idea.
Una reincarnazione del glorioso passato
Come le due tendenze descritte si intreccino strettamente si evince anche dalle parole della deputata Kuvyčko: “La nostra città, la città-eroe Volgograd, è la capitale non ufficiale del patriottismo. E Mamaev Kurgan (una collina di Volvograd, luogo del memoriale che commemora la Seconda Guerra mondiale, ndr) rimarrà un luogo patriottico per l’educazione della nostre generazioni più giovani. Lo dobbiamo ai nostri difensori, ai nostri nonni e bisnonni, i quali, nonostante la loro veneranda età, continuano tuttora a dispensare lezioni di coraggio nelle scuole di Volgograd e della regione”.
Nel video di Djadja Vova siamo con te i bambini tengono tra le mani le foto dei veterani della Grande Guerra Patriottica, come si usa durante l’iniziativa del reggimento immortale, parata che si tiene da anni in occasione del 9 maggio. In questo modo, come in un passaggio di consegne di generazione in generazione, i bambini diventano una sorta di reincarnazione dei propri progenitori, facendosi portatori di un sentimento di patriottismo e di una volontà di auto-sacrificio che risultano oltremodo grotteschi. Grottesco poiché evidente che si tratti di un dogma imposto dall’alto, un tentativo di influenzare la forma mentis dei futuri “difensori della patria”.
Se nel brano dei Pink Floyd i bambini cantavano in coro “Non abbiamo bisogno di educazione, non abbiamo bisogno di controllo del pensiero”, questa tendenza dimostra che nella Russia di oggi non è così.