Con i suoi sei milioni di abitanti e una superficie pari a quella dell’Abruzzo, il Libano ha accolto negli ultimi anni un milione e mezzo di rifugiati. Gran parte delle persone vivono in baracche di fortuna nelle campagne libanesi, altre si sono trasferite in città, nei campi già occupati dai vecchi rifugiati palestinesi.
La politica migratoria del governo libanese è praticamente inesistente, dall’inizio della guerra chi scappava verso il Libano veniva semplicemente “lasciato entrare”, nessuna registrazione, nessun supporto da parte dello Stato, ma il pagamento di una quota annuale come migrante.
Nella valle della Beqaa, a est della capitale Beirut, sono iniziati a spuntare un po’ ovunque quelli che ora vengono chiamati informal settlements, “campi informali”: conglomerati autogestiti di capanne che si possono ormai trovare in tutto il paese. Chi ha uno sponsor può ottenere il permesso di residenza per motivi di lavoro e quindi può lavorare, ma solo in edilizia, pastorizia o nell’ambito dell’aiuto domestico; per i più, incapaci di trovare uno sponsor o di pagare la quota annuale, la situazione è di totale illegalità.
Quella che era gestita inizialmente dagli organismi internazionali come un’emergenza è diventata una consuetudine e così, anche gli aiuti umanitari sono andati via via scemando, lasciando i rifugiati in un limbo. La situazione è più complicata per quelli che in Siria erano rifugiati palestinesi e trovandosi nuovamente a scappare dalla guerra sono entrati nella paradossale condizione di doppiamente rifugiati.
I governi europei, in barba alla convenzione di Ginevra, hanno deciso di rendere l’Europa una fortezza chiudendo i loro confini e rifiutando i profughi. E’ iniziato il gioco dei numeri al grido del “ci stanno invadendo”.
Quello che non si dice è che chi più di tutti ha accolto le popolazioni in fuga dalle bombe sono proprio gli stati confinanti. In Libano un quinto della popolazione è composta da rifugiati, il venti per cento; quella che era un’emergenza è diventata una situazione drammaticamente stabile, una storia che non interessa, che, come tante, non fa notizia.