RUSSIA: La crisi nordcoreana secondo Mosca

La frenesia missilistica di Kim Jong-un spadroneggia nei media italiani. Il contesto è ben noto, ma la sua portata si è recentemente aggravata. In un crescendo di ostilità, la Corea del Nord si è spinta fino a sorvolare con i propri missili la giapponese isola di Hokkaido. Per ben due volte Tokyo e il mondo hanno temuto che le minacce sinora paventate da Kim potessero infine tradursi in realtà.

Tutti i principali attori internazionali sono intervenuti in merito alla questione. Nonostante l’iniziale reticenza al rilascio di dichiarazioni, anche la Russia di Putin si è resa sempre più presente sulla scena. Le scelte di Mosca, tuttavia, sembrano comporre un quadro d’azione contraddittorio – o almeno così pare in superficie.

Le fasi alterne del comportamento russo

Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha condannato i lanci missilistici nordcoreani, definendoli una violazione sia del diritto internazionale, sia di diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Alla stesso tempo, però, Mosca prende le distanze anche dalla linea statunitense. Secondo Putin, la “retorica insultante” e le pressioni militari di Washington non porteranno ad altro che al fallimento dei tentativi di riconciliazione, precipitando le ostilità in guerra.

Se qualsiasi intervento militare è da escludersi, le sanzioni non sono però da considerarsi una valida alternativa per Mosca. Nonostante siano state in vigore per lungo tempo, pare che esse non abbiano ridimensionato in alcun modo le velleità di Pyongyang. Come ha dichiarato Putin a latere dell’ultima conferenza dei paesi BRICS, i nordcoreani “mangeranno erba ma non fermeranno il proprio programma [nucleare] finché non si sentiranno al sicuro”. Certamente, il parere russo non è disinteressato: oltre ad essere essa stessa vittima di sanzioni, Mosca intrattiene consistenti relazioni commerciali con Pyongyang. Ma il volume di queste ultime non è tale da costituire il centro degli interessi russi nella crisi nordcoreana.

Se le sanzioni sono ritenute inutili, ci si potrebbe allora aspettare che la Russia osteggi qualsiasi nuova risoluzione che ne imponga di nuove. Sbagliato. L’11 settembre scorso, infatti, il rappresentante della Federazione russa al Consiglio di Sicurezza ha votato a favore del nuovo pacchetto punitivo elaborato su iniziativa di Washington. Sanzioni da molti considerate cosmetiche e de facto aggirabili, ma pur sempre in contrasto con la retorica dispiegata in precedenza da Mosca.

L’altalenante atteggiamento russo è infine guarnito da proposte poco credibili elaborate con Pechino circa la soluzione della crisi, da dubbie rivendicazioni riguardo allo stato dei diritti umani in Corea del Nord e frecciatine agli Stati Uniti mascherate da ponderate interpretazioni delle azioni di Kim come applicazione della “lezione imparata” dall’Iraq di Saddam – schiacciato da Washington perché privo di garanzie nucleari.

Un solo obiettivo: prestigio

Tuttavia, l’incostante tattica politica moscovita non è da confondersi con la mancanza di un disegno strategico. Anzi, tutt’al contrario, essa è riconducibile ad una visione di lungo periodo che ruota intorno a un obiettivo ben preciso. In questo caso come in altri (in Siria, ad esempio), l’obiettivo per Mosca è quello di “esserci” e contare al tavolo negoziale.

In tal senso, non è la risoluzione della crisi nordcoreana a muovere l’agenda del Cremlino, quanto piuttosto la partecipazione alla sua risoluzione. Tramite una tattica d’azione coerente nella sua flessibilità – capace di mutare in base alle sfumature assunte di volta in volta dalla situazione e alle possibili contromosse altrui – la Russia si propone come interlocutore indispensabile. In questo modo, Mosca appare non tanto come colei con la quale si possa risolvere una crisi, ma come attore senza il quale non è affatto possibile raggiungere una soluzione.

La “strategia della presenza” della Federazione russa è insomma tesa a convertire la presenza al tavolo negoziale (nordcoreano) in benefici sul piano del prestigio internazionale, a loro volta reindirizzabili a vantaggio di Mosca in contesti anche molto diversi – in base al principio del do ut des.

Invece che un bacino di rischi sempre maggiori, la crisi scatenata da Pyongyang è considerata dal Cremlino come una sede di grandi opportunità – tanto maggiori quanto maggiore la tensione. E’ per tale ragione che potremo aspettarci anche in futuro un atteggiamento apparentemente contraddittorio da parte di Mosca. Utilizzando una locuzione recentemente impiegata dal professor Carlo Pelanda, le scelte russe sono da ricondursi ad un “realismo pragmatico” che mira a rimandare i rischi della crisi nel tempo – non risolverli. Tanto più essi permarranno, infatti, tanto più la Russia riuscirà a sfruttarli come fonti di accrescimento della propria statura politica internazionale.

Questo articolo é frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association ed é pubblicato anche su PECOB, Università di Bologna.

Chi è Nicolò Fasola

Nato nel 1993, è dottorando presso il Dipartimento di Studi Politici e Internazionali dell'Università di Birmingham, nel Regno Unito. In passato ha lavorato presso l'Allied Command Operations della NATO (ACO/SHAPE), l'Istituto di Relazioni Internazionali di Praga (IIR) e l'Ambasciata d'Italia in Estonia. Inguaribile poeta.

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