SLOVACCHIA: L’eredità politica di Jozef Tiso, il vescovo di Hitler

Negli anni Novanta la storiografia slovacca si è data battaglia intorno alla controversa figura di Jozef Tiso, prete, politico e presidente della Slovacchia collaborazionista tra il 1939 e il 1945. Il dibattito si è articolato in due campi: da una parte gli storici emigrati, che dipingevano Tiso come martire e salvatore; dall’altra gli storici rimasti in patria, che lo ricordavano come mero collaboratore del regime nazista processato e condannato a morte per la complicità nel genocidio degli ebrei in Slovacchia.

Una breve biografia

Nato nel 1887 a Velká Bytča, allora parte dell’impero austro-ungarico, alla fine della prima guerra mondiale il prete Jozef Tiso divenne un prominente esponente del Partito Popolare Slovacco di Andrej Hlinka, all’epoca la più importante compagine politica slovacca. Sebbene non godesse della piena simpatia di Hlinka, riuscì a succedergli nel 1938 contando sulla forza dell’ala clericale del partito. La crisi in cui sprofondò la Cecoslovacchia a seguito degli accordi di Monaco del 1938 favorì la concessione a Bratislava di un’ampia autonomia. Praga, dopo aver perso i Sudeti, voleva evitare il distacco anche di un altro pezzo del paese. Tiso divenne così primo ministro di una Slovacchia autonoma. Fu Hitler che spinse il monsignore alla successiva secessione. Nel marzo del 1939, prima di procedere al’invasione della Boemia, il Fuhrer propose a Tiso la creazione di una Slovacchia indipendente, perfetto avamposto per le successive azioni militari tedesche in Polonia. Il prelato accettò di buon grado l’offerta, divenendo così presidente della Prima Repubblica Slovacca.

L’atteggiamento di Tiso durante la seconda guerra mondiale è ancora oggi tema scottante e divisivo. Se da un lato c’è chi rivendica il suo ruolo nella difesa di una pur minima autonomia slovacca, dall’altro è innegabile la sua responsabilità nella deportazione e nel conseguente genocidio ebraico. Il suo regime cadde con l’arrivo dell’Armata Rossa nell’aprile del 1945. Processato per tradimento, soppressione delle libertà e crimini contro l’umanità, Jozef Tiso fu condannato a morte e impiccato a Bratislava, il 18 aprile del 1947.

Tra mito e storia

Per tutta la sua carriera politica, Jozef Tiso è stato fiero difensore dell’identità slovacca. Il suo antisemitismo è emerso soprattutto dalla seconda metà degli anni ’30. Secondo James Ward, uno dei più autorevoli biografi del prelato, esso nacque dalla confluenza di più fattori: la dottrina cattolica, il nazionalismo e, soprattutto, un fortissimo sentimento anti-magiaro. E’ stato proprio Ward a sottolineare come l’antisemitismo slovacco sia stato fortemente intriso di sentimenti anti-ungheresi. Come in molte altre zone dell’Europa orientale, anche in Slovacchia la maggioranza della popolazione ebraica era di lingua e cultura magiara. Dopo il primo arbitrato di Vienna, che consegnò all’Ungheria buona parte della Slovacchia meridionale, tra cui l’importante città di Kosice (ung. Kassa), l’antimagiarismo si fuse a un latente antisemitismo, ponendo le basi per quel che accadde durante il conflitto. Tiso prese parte attivamente ai processi di espropriazione e deportazione degli ebrei, e sebbene in molti aspetti si mostrò più moderato della controparte tedesca, questo non lo solleva dalle sue responsabilità.

Confondendo la memoria con la storia, l’oggettivo con il soggettivo, chi oggi in Slovacchia difende l’operato di Tiso finisce per omettere la fattualità di avvenimenti storici, contribuendo a una ricostruzione imprecisa. Per Andrej Findor dell’università Comenio di Bratislava questo atteggiamento trasforma la storia in mitologia; essa non mente tanto nel contenuto, quanto nella forma, che si sostanzia in accattivanti analogie che tramutano i mostri in santi.

Jozef Tiso oggi

L’eredità politica di Tiso non è stata dimenticata. Quest’anno, in occasione del 70simo anniversario dalla morte, l’associazione culturale fascista Slovak Revival Movement si è radunata a Cakajovce, di fronte all’unica statua di Jozef Tiso esistente in Slovacchia, per commemorarne la scomparsa. Durante la celebrazione Robert Svec, leader dell’associazione ha mormorato alla statua: “Tu sei nostro e noi saremo per sempre tuoi”.

Oggi i neo-nazisti slovacchi governano la regione di Banská Bystrica, e all’interno del palazzo si salutano ancora con il braccio alzato al grido di “na stráž” (in guardia). In vista delle prossime elezioni, tutti sembrano essersi coalizzati contro il leader del partito Marian Kotleba, con l’obiettivo di porre fine al suo governo regionale e allo stesso Partito Popolare la Nostra Slovacchia (L’SNS), da lui guidato.

Tuttavia, l’eredità politica non finisce con i neo-nazisti. Nel 2016, le parole del premier Robert Fico relative al rifiuto all’iniziativa europea per la redistribuzione dei migranti motivato da diversità religiose, ricorda l’antisemitismo moderato di Tiso. Questa analogia non vuole paragonare Fico a Tiso, quanto ricordare che il nazismo è nato in primo luogo come atteggiamento di rifiuto del diverso.

Articolo scritto in collaborazione con Francesco Magno

Chi è Gian Marco Moisé

Dottorando alla scuola di Law and Government della Dublin City University, ha conseguito una magistrale in ricerca e studi interdisciplinari sull'Europa orientale e un master di secondo livello in diritti umani nei Balcani occidentali. Ha vissuto a Dublino, Budapest, Sarajevo e Pristina. Parla inglese e francese, e di se stesso in terza persona.

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