La recente approvazione di una legge, che prevede uno speciale registro per alcune organizzazioni non governative (ONG) finanziate dall’estero, avvicina sempre di più l’Ungheria di Orbán al modello della Russia di Putin, dove una legge sui cosiddetti “agenti stranieri” è in vigore dal 2012. Entrambi i leader vedono il finanziamento proveniente da oltreconfine come un’ingerenza negli affari nazionali, dalla quale è necessario salvaguardarsi adeguatamente, proponendo un modello che Orbán stesso in passato aveva definito come “democrazia illiberale”.
Modelli alternativi di democrazia
Il concetto di democrazia illiberale fu reso popolare dallo studioso Fareed Zakaria, che nel 1997 ne descrisse le caratteristiche, la sempre maggiore diffusione, ma soprattutto la possibilità della coesistenza di due elementi a prima vista inconciliabili. Il liberalismo, inteso come il rispetto delle libertà individuali e dei diritti civili, non è sempre compagno inseparabile di governi democraticamente eletti. Questi ultimi, infatti, possono governare in un sistema semi-liberale, soprattutto in assenza di una consolidata tradizione liberale alle spalle.
Orbán e Putin non hanno mai nascosto la loro avversione per l’attuale sistema liberale occidentale e contrappongono ad esso un modello di democrazia illiberale, o democrazia sovrana. Benché chiamati in modi diversi, i modelli proposti dai due leader si somigliano molto, soprattutto per la forte enfasi posta sull’interesse nazionale e per l’anteposizione di quest’ultimo ai diritti individuali. A questo proposito, Orbán sottolineava, in un celebre discorso del 2014, come la nazione ungherese non fosse semplicemente un gruppo di individui, ma una comunità; il primo ministro annunciava inoltre la costruzione di uno stato illiberale, che non avrebbe avuto la libertà come elemento centrale, ma che le avrebbe anteposto un carattere “diverso, speciale e nazionale”.
ONG, liberalismo e Volksgeist
La supremazia dell’interesse nazionale contro il singolo è un elemento fondamentale della retorica di questi governi e della loro battaglia contro le ONG finanziate dall’estero: una simile legge rappresenta una tutela dell’interesse nazionale, in quanto mira a svantaggiare organizzazioni che, per dirlo con le parole di Orbán, perseguono gli interessi stranieri nel paese. Sempre nello stesso discorso del 2014, Orbán descrisse chiaramente queste organizzazioni come uno dei maggiori ostacoli alla costruzione di uno stato illiberale e sovrano. Il sacrificio di alcune libertà individuali, seguendo questa logica, è perfettamente giustificato.
Nella maggior parte dei casi, le organizzazioni colpite da questi provvedimenti sono ispirate da valori liberali. Non si tratta solo di un’eterna sfida Orbán/Putin versus Soros: mettere al bando i valori liberali, tacciandoli di essere qualcosa di estraneo e contrario al bene comune, equivale a negare l’esistenza di un pluralismo interno alla nazione. Il concetto di “interesse nazionale” è di per sé astratto e facilmente manipolabile: è infatti l’autorità a definire cosa rientra nell’interesse della nazione, affermando di agire nel nome del popolo ed escludendo automaticamente chiunque proponga una visione alternativa. La “nazione” e il “popolo” vengono percepiti come entità omogenee, come se i loro componenti fossero animati da uno stesso spirito. E’ ciò che descriveva il filosofo tedesco Herder quando parlava di Volksgeist (lo “spirito popolare”): l’elemento che rende unito un popolo e allo stesso tempo lo rende unico. L’enfasi sull’unicità della propria nazione accomuna i due leader e ne caratterizza lo sforzo per arginare la cosiddetta influenza straniera.
I provvedimenti che colpiscono le ONG che ricevono finanziamenti dall’estero sono interpretabili in quest’ottica. Sono la misura di sicurezza di alcuni governi, che vedono il pluralismo come una minaccia dall’esterno, come precursore di un inevitabile processo di assimilazione e della supremazia di un ordine mondiale costituito. L’accanimento contro il liberalismo e gli Stati Uniti, insieme a quello – per certi versi antisemita – contro Soros, sembrano riportare indietro ad anni non troppo lontani, in cui si gridava ad un presunto complotto.
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association. Le analisi dell’autrice sono pubblicate anche su PECOB, Università di Bologna.