SERBIA: L’impegno sociale del teatro contemporaneo. Intervista a Vojislav Arsić

di Eva Zilio

Vojislav Arsić, fondatore del Centro E8 e regista teatrale ci parla del suo lavoro per la compagnia Reflektor Teatar e della scena teatrale serba contemporanea.

Cos’è Reflektor Teatar e cosa fa?

La compagnia teatrale Reflektor Teatar è una compagnia giovane e indipendente che nasce ufficialmente nel gennaio del 2017 dal programma teatrale del Centro E8, ma è presente sulle scene serbe dal 2012. L’idea è che il teatro possa e debba essere uno strumento sociale che agisce uniformando principi come l’arte e l’attivismo, personale e politico, etico ed estetico. Alla base della ricerca ci sono i giovani e il loro rapporto con la società. Il nome Reflektor (riflettore) indica il fine del nostro operato: illuminare gli angoli più oscuri della realtà da noi indagata e spingere lo spettatore alla riflessione.

Come si inserisce il vostro lavoro nella scena teatrale serba contemporanea? E in quella politica?

Per quanto riguarda la scena teatrale siamo visti come dei “forestieri”. C’è una sorta di reciproca alienazione e diffidenza. Ci rifiutiamo di funzionare come di solito funzionano le cose in Serbia, non vogliamo appartenere a un certo tipo di dinamiche e ne rifiutiamo le regole. Molte realtà istituzionali si stupiscono di come facciamo a sopravvivere. Per quanto riguarda la scena politica il discorso è diverso. Ci ignorano, ma ci tengono d’occhio. Credo che l’attuale situazione politica sia la peggiore che la Serbia abbia mai vissuto. Più pericolosa del tempo di Milošević per la compiacenza e l’omertà in cui opera. Ci ostacola silenziosamente, per esempio, non finanziandoci mai. Sono consapevole di quello che potrebbero farci quelli a cui “non andiamo bene” ed è una grande vittoria essere in grado di esistere autonomamente. E’ una forma di resistenza di cui sono orgoglioso.

Censura: quali sono le difficoltà che incontrate?

Per quel che riguarda la censura e il divieto di mettere in scena i nostri spettacoli in molti teatri pubblici, si tratta sempre di meccanismi subdoli. Non veniamo mai apertamente censurati per via dei nostri contenuti ma per motivi banali e irrazionali. Il risultato è che si creano situazioni al limite dell’assurdo che non fanno che testimoniarci quanto sia importante quello che facciamo. Abbiamo avuto molti problemi a mettere in scena fuori Belgrado lo spettacolo “Rossa: il suicidio di una nazione”, che si occupa di aborto e di violenza sulle donne. In questo senso il lavoro del Reflektor si inserisce nel panorama serbo come una forma di attivismo, per la creazione di uno spazio di libertà e dialogo.

A proposito della politicità dei vostri interventi: puoi dirci qualcosa sul rapporto tra testo e attori?

I nostri attori non sono semplici attori. Sono attivisti perfettamente consci e concordi col messaggio che trasmettiamo. La politicità del nostro intervento sta non tanto nel contenuto, quanto nella forma. Gli spettacoli nascono dopo mesi di lavoro in coautorato. La metodologia è eterogenea: facciamo workshop, interviste, training in modo tale da diventare quanto il più possibile preparati a condividere col pubblico quanto in nostro potere sapere a proposito di un dato argomento. Il rapporto tra attori e testo è un rapporto a doppio taglio. Il messaggio che veicolano non solo da loro è recitato ma anche pensato, sentito, dimostrato.

Che ruolo ha il teatro nella società serba contemporanea? Può essere uno strumento per la ridefinizione dell’identità collettiva?

Dicevo che l’attuale situazione politica è di gran lunga la più pericolosa sinora vissuta dalla Serbia per la totale assenza di consapevolezza che i cittadini vivono. Inconsapevolezza della censura, della repressione, della copertura mediatica perpetrate dal governo. In questo contesto sono fermamente convinto che il teatro non solo possa, ma soprattutto debba avere un ruolo socialmente attivo. Certo, non farà la rivoluzione. Ma quando in un contesto in cui regnano la dittatura e la censura il teatro riesce a ritagliare uno spazio di libertà e dialogo allora da quello spazio può concretamente nascere un cambiamento. Perché lo spettatore vede sulla scena la verità e non può sottrarsi al confronto con essa.

Macho Men è il vostro primo lavoro e l’unico finora portato in scena in Italia. Di cosa si tratta?

Siamo stati nel giugno del 2016 a Novara e a Bologna. Macho Men è stato il nostro primo spettacolo riconosciuto al di fuori del contesto amatoriale. Il successo che ha ottenuto e che continua ad ottenere alla quinta stagione di messe in scena è significativo. Il tema è il concetto di virilità in Serbia oggi. Quali sono gli stereotipi, le precondizioni storiche e sociali che modellano l’affermarsi di una virilità nociva? I sette ragazzi sulla scena si interrogano col pubblico e cercano assieme ad esso delle risposte.

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