CINEMA: Il Donbass di “DIY Country”, un paese fai-da-te

Il Donbass, un paese fai-da-te. E’ il ritratto che ne fa il regista britannico Antony Butts nel documentario “DIY Country” (Francia, 2016). Butts è a Donetsk nell’aprile 2014 e ha la possibilità di documentare dal basso e partendo dalle persone coinvolte in prima persona il processo di costruzione di una nuova entità politica e le sue evoluzioni in due anni, guerra inclusa. Il risultato è un documentario di alta qualità tecnica e contenuti rivelatori.

I protagonisti – gli eroi – del racconto di Butts sono personaggi marginali della Donetsk ucraina, a cui la situazione successiva alle barricate anti-maidan offre un’opportunità insperata. Si parte da Boris, piccolo politico comunista che diventa mobilizzatore della nuova “repubblica popolare”; Volodya, pope ortodosso e allevatore di cani, nuovo speaker dell’assemblea locale dei ribelli; Lenin e Felix, spinti a trasformarsi in guardie armate per guadagnare qualche soldo e cercare di dare una svolta alla propria vita; e Tatyana, pasticcera licenziata, che della rivolta diviene ideologa e “vera credente”. Il film di Butts è un tuffo nelle motivazioni psicologiche individuali, a livello micro, che spingono i residenti di Donetsk a sostenere la rivolta contro i “fascisti di Kiev”. La propaganda russa viene mostrata come elemento di creazione delle circostanze in cui un tale movimento riesce ad agire, in un contesto di grande debolezza delle istituzioni ucraine.

Come spiegava già nel 2014 Tatyana Malyarenko dell’Università di Donetsk a East Journal, “Gli attivisti della Repubblica Popolare di Donetsk non avrebbero mai potuto organizzare tutto da soli. Erano miei studenti, e non certo dei più brillanti. Anziché creare le istituzioni necessarie a tenere in piedi uno stato, non fanno altro che creare notizie per i media (documenti, appelli al sostegno) per mostrare che la DPR esiste; ma non hanno alcun potere reale”.

Grazie alla fiducia instaurata prima degli eventi, Butts riesce ad entrare nel dietro-le-quinte della ribellione. Tramite le voci dirette dei protagonisti si capisce cosa spinge gli eventi. “Hanno mandato un milione e mezzo di rubli [da Mosca] per la prima organizzazione, ma a noi [ai checkpoint] sono arrivate solo le briciole”, spiega Felix. “Ci serve almeno l’85% dei sì al referendum, faremo alla vecchia maniera – coi brogli”, discutono Boris e Volodya. Frasi rivelatrici nella loro franchezza, sintomo della prima fase rivoluzionaria in cui ancora non c’è quel controllo capillare che sarà presto instaurato nei territori ribelli controllati a distanza da Mosca.

Butts torna a Donetsk nel 2015 e vi trova una situazione ben diversa. La guerra è in pieno svolgimento, con armi e soldati che affluiscono direttamente da oltre il confine russo. La situazione politica è in via di normalizzazione, con i deputati ribelli epurati in base alle nuove direttive di Mosca. Le speranze di cambiamento sociale della popolazione – minatori a rischio licenziamento, pensionati nostalgici dei servizi sociali del tempo dell’URSS, giovani senza lavoro – sono state presto frustrate, e una nuova oligarchia ha preso il posto della precedente. Felix, fatto prigioniero dall’esercito ucraino, è parte di uno scambio di prigionieri negoziato da Ruban, militare ucraino che aveva precedentemente arrestato e torturato (anche questa una scena che Butts aveva potuto documentare in camera). A Tatyana, che ormai ha perso ogni fiducia nella leadership politica di Pushilin, non resta che inveirgli contro dalla piccola cucina di casa. Intanto, in piazza, si canta e si balla e si lanciano i fuochi d’artificio per il primo anniversario dell’indipendenza della Repubblica Popolare di Donetsk.

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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