di Pietro Dalmazzo
Il 17 febbraio 2008 il parlamento di Pristina proclamava l’indipendenza kosovara. Nasceva così un nuovo stato, l’ultimo in Europa. Ma uno stato per quale nazione?
Costruire una nuova nazione per un nuovo stato
Era chiaro a tutti che la neonata Repubblica del Kosovo sarebbe stata uno stato senza nazione. O, quantomeno, uno stato che avrebbe governato una nazione diversa: quella albanese. Sono infatti di lingua e cultura albanese oltre il 90% dei residenti in Kosovo.
Consapevole della discrepanza tra stato e popolazione, il Kosovo indipendente dimostrò la volontà di costruire una specifica identità kosovara – multietnica e differente, per ovvi motivi, da quella serba ma anche che da quella albanese.
Lo stesso Hashim Thaçi, attuale presidente del Kosovo, in passato tra i leader dell’Uçk, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, dichiarò pubblicamente che “non esiste un’identità del Kosovo”, implicando la necessità della costruzione di una nuova identità kosovara.
Una visione internazionalizzata della nazione kosovara
Ciò si è tradotto in un tentativo originale, specialmente nel contesto balcanico, di costruzione di un’identità nazionale non guardando al passato, verso origini mitiche o particolari tradizioni; non inventando un passato comune ma volgendosi verso un presente e futuro moderno ed internazionale.
Questa originalità è riscontrabile nella simbologia nazionale, basti pensare alla bandiera o all’inno nazionale, entrambi che richiamano ad un’identità europea.
Spinti ancora oltre in questa visione internazionalizzata della nazione vi sono il monumento a Bill Clinton, con relativo viale intitolato, e il monumento “Newborn”: un presidente straniero visto come eroe nazionale ed una scritta che simboleggia la nascita di un’entità nuova, in lingua inglese, non in albanese o altre lingue della regione.
Influenza internazionale e mediazione locale
Dietro a tale orientamento nella costruzione della nazione kosovara vi è soprattutto l’influenza degli attori internazionali, presenti in forze in Kosovo tramite la missione militare KFOR, quella civile UNMIK e in seguito quella europea EULEX, oltre che redattrici del quadro costituzionale kosovaro attraverso il piano Ahtisaari.
E primo obiettivo degli internazionali è stato spingere all’integrazione delle minoranze – in primis quella serba – all’interno del neonato stato kosovaro, cosa che sarebbe stata impossibile da immaginare sotto uno stato dominato anche simbolicamente dalla maggioritaria nazione albanese.
D’altronde, la mediazione dell’influenza internazionale da parte della classe dirigente locale ha portato alla presenza di visioni diverse e in competizione della nazione kosovara. Così, accanto ai simboli della visione internazionalizzata vi sono altri monumenti ben più nazionali, quali la statua raffigurante l’eroe nazionale albanese Skanderbeg o i numerosi monumenti dedicati ai caduti dell’Uçk presenti in tutto il Kosovo. Proprio i combattenti protagonisti della guerra contro la Serbia incarnano per una larghissima parte della popolazione il ruolo di eroi della nuova nazione.
Impossibile stabilire ora se il tentativo sarà coronato da successo o se l’identità albanese prevarrà del tutto generando un secondo stato albanese chiamato Kosovo. In ogni caso rimane rilevante seguire l’evoluzione di questo processo come un tentativo originale di costruzione identitaria che non guarda ad un’identità nazionale specifica, ma ad una, per ora meno definita, identità internazionalizzata.
Foto Credit: James Montague for The New York Times