MONTENEGRO: Tentato colpo di Stato. È Belgrado l’ago della bilancia?

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Per quanto concerne il tentato colpo di Stato in Montenegro, e lo sventato omicidio di Milo Đukanović, che aveva appena dichiarato il proprio ritiro dalla vita politica all’indomani delle elezioni vinte dal suo Partito Democratico dei Socialisti (Dps), la Serbia e il suo premier Alexsander Vučić si sono trovati loro malgrado coinvolti in una storia fatta di accuse aleatorie e non dimostrabili.

Le uniche cose certe nell’indagine sono le parole dell’indagato Aleksandar Sinđelić, ex combattente e nazionalista serbo, il quale ha affermato di essere a conoscenza degli spostamenti dei principali sospetti, i russi Eduard Širokov e Vladimir Popov, che già a settembre erano a Mosca per ricevere istruzioni in merito. Questo non implica che entrambi fossero direttamente legati a Mosca, ma è indubbio che fossero parte attiva della rete di attivisti russi che operano in Ucraina dell’est e nei Balcani, in Serbia per lo più.

Sia i media che i procuratori montenegrini si son tenuti cauti e non hanno lanciato alcuna accusa diretta al governo di Mosca, ma si paventa la presenza di una mano più grossa dietro l’operato dei due apparenti cani sciolti. In realtà l’opposizione anti-Nato in Montenegro è prettamente serba. Basti fare l’esempio del pope ortodosso di Kotor, Momčilo Krivokapić, che presenziò alla cerimonia di fondazione dell’Armata dei Cosacchi dei Balcani: una carnevalata folkloristica che ebbe però un discreto successo per una grossa fetta d’opinione pubblica serba. 

Il nuovo governo Marković è nato con lo scopo di traghettare il Paese verso gli obiettivi dichiarati di adesione alla Nato e all’Ue, sottolineati ulteriormente dal discorso di insediamento del neo-presidente: l’esecutivo si è sobbarcato quindi di un’opposizione anti-Nato già presente nel Paese. Il supposto ruolo della Serbia nel colpo di Stato che, giova ricordarlo, non è stato supportato con prove concrete da parte della procura di Podgorica, ha palesato le difficoltà del primo ministro serbo Aleksandar Vučić nel districarsi tra la graduale apertura verso l’Europa che ha caratterizzato il suo governo e la presenza di un forte sentimento di fratellanza panslavista all’interno dell’opinione pubblica, sia in Montenegro sia in Serbia.

Al di là del ruolo attivo di Belgrado nell’espulsione dei due sospettati Širokov e Popov in concomitanza con la visita nella capitale serba di Nikolai Patrušev, segretario del Consiglio di sicurezza russo, il governo serbo nega il coinvolgimento di Serbia e Russia nella fumosa vicenda del colpo di Stato.

Vučić ha dato un’impronta ben definita al suo governo, ma in questo caso si trova comunque costretto a dover ascoltare le voci più influenti dei serbi montenegrini: in quest’ottica ha accettato l’invito di alcuni leader serbi del Montenegro, come Milan Kezević del Partito popolare democratico (Dnp) e Momčilo Vuksanović della ONG Consiglio nazionale serbo, personaggi che sicuramente muovono voti, pochi a onor del vero, tanto in Montenegro quanto in Serbia. Essi hanno espresso a Vučić lo stato di abbandono in cui si trovano dal momento che sotto il suo governo alcune battaglie considerate basilari dai nazionalisti serbi sono diventate meno importanti, se non di poco conto. I serbi del Montenegro, in merito all’ingresso nella NATO, si fanno forti dell’appoggio del governo di Mosca, il quale tramite Sergej Glazev, consigliere di Putin, ha approfittato dell’incontro per reiterare le critiche che la Russia rivolge alla politica filo occidentale montenegrina.

Chi è Gianluca Samà

Romano, classe 1988, approda a East Journal nel novembre del 2014. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi Roma Tre con una tesi sulle guerre jugoslave. Appassionato di musica, calcio e Balcani.

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