ALBANIA: La libertà di stampa è in pericolo?

Un nuovo sospetto caso di censura riapre il dibattito sulla libertà di stampa in Albania. Contemporaneamente, i maggiori osservatori internazionali denunciano la precarietà della libertà di espressione nel paese e, in particolare, la crescente diffusione dell’autocensura tra i giornalisti.

La censura di Publicus e lo scandalo dei rifiuti

Ad inizio ottobre, la trasmissione investigativa Publicus viene sospesa a poche ore dalla messa in onda e il produttore, Artan Rama, accusa immediatamente l’emittente Vizion Plus TV di censura. La puntata sospesa è incentrata sui presunti legami tra Erion Veliaj, sindaco di Tirana, e la società 3R s.r.l., che fino a qualche mese fa gestiva la più importante discarica del paese, quella di Sharra, senza aver partecipato ad alcuna gara d’appalto e senza avere un contratto trasparente con il municipio. Lo scandalo era scoppiato durante l’estate, quando le indagini sulla morte violenta di un diciassettenne all’interno della discarica avevano portato alla luce un sistema di assunzioni illegali e senza alcuna tutela, che coinvolgevano anche minorenni.

Già allora la censura aveva colpito i media: la direttrice di A1 News Tv, Alida Tota, venne infatti improvvisamente licenziata dopo aver cercato di portare alla luce il caso. Una storia di corruzione e censura che getta ulteriori ombre sulla recente legge che ripristina l’autorizzazione all’importazione di rifiuti nel paese.

Libertà di stampa: Albania paese “parzialmente libero”

In seguito alla sospensione di Publicus, l’opinione pubblica si è divisa. In molti hanno accusato i giornalisti della trasmissione di lavorare per il Partito Democratico d’Albania, il partito di opposizione, screditando quindi il valore delle indagini. Al contrario, molti giornalisti, organizzazioni e osservatori internazionali hanno colto l’occasione per denunciare lo stato precario dell’indipendenza dei media nel paese.

Secondo Reporters Without Borders e Freedom House, organizzazioni che monitorano annualmente la libertà di stampa, l’Albania è un paese “parzialmente libero”, in cui i numerosi media sono sottoposti a continue influenze politiche ed economiche, sia dirette che indirette. L’ultimo rapporto della Commissione Europea sul paese sottolinea inoltre come non ci sia stato alcun progresso negli ultimi anni, individuando le principali cause nella scarsa trasparenza dei fondi governativi, nell’alta politicizzazione dei principali proprietari dei media, e nel precario stato contrattuale dei giornalisti.

L’autocensura cresce: a pericolo la libertà di stampa

Questo stato di instabilità favorisce la pratica dell’autocensura, uno degli aspetti che più influisce sulla libertà di stampa in Albania e, certamente, il più difficile da monitorare. In un’indagine condotta nel 2015 da Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), l’85% dei giornalisti intervistati ammette di aver scelto, almeno una volta durante la propria carriera, di aver rinunciato a trattare una notizia perché scomoda. Questo avviene sia per le forti pressioni legate ad aspetti economici, ovvero all’incapacità di molti media di sopravvivere senza finanziamenti esterni (pubblici o privati), sia per la mancanza di tutele legali per i giornalisti.

Come dimostrato dall’indagine di BIRN, l’autocensura sta diventando in Albania un fattore culturale, interiorizzato sempre più dai giornalisti. La pericolosità di questa tendenza è evidente: se la censura è un atto visibile e diretto, come nel caso di Publicus, e scatena una forte indignazione da parte dell’opinione pubblica, l’autocensura è un fenomeno labile, indiretto, difficile da percepire e  da denunciare e, per questo motivo, pericoloso per un’effettiva e non solo teorica libertà di stampa.

Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association. Le analisi dell’autrice sono pubblicate anche su PECOB, Università di Bologna

Chi è Silvia Trevisani

Nata nel nord-est italiano, vive e lavora tra Zagabria e Copenaghen. Possiede una laurea triennale in Studi Internazionali (Università di Trento) e una magistrale in Interdisciplinary research and studies on Eastern Europe (Università di Bologna). Appassionata di Balcani, interessata agli studi di genere e spaventata dai neofascismi, ne scrive per East Journal. Parla inglese, francese e, dopo una rakija, serbo-croato.

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