Il graduale riavvicinamento in atto fra Ankara e Tel Aviv compie un passo più concreto con la nomina del nuovo ambasciatore israeliano di stanza ad Ankara, Eitan Na’eh. L’investitura, avvenuta il 14 novembre scorso, rappresenta una novità nel contesto delle relazioni bilaterali tra Turchia e Israele, che sono prive dei rispettivi ambasciatori fin dall’incidente diplomatico della Mavi Marmara.
Chi è Eitan Na’eh
Il nuovo ambasciatore israeliano in Turchia conosce bene la zona. Tra il 1993 e il 1997 Na’eh aveva già rappresentato lo stato ebraico ad Ankara, prima di passare all’Azerbaijan e al Regno Unito. Na’eh è considerato da molti uno dei migliori diplomatici a servizio di Tel Aviv, e la sua nomina esprime la necessità di concretizzare rapidamente il disgelo fra lo stato ebraico e quello turco. L’elezione di un membro diplomatico importante non è da considerasi casuale, ma è piuttosto sintomo del carattere prioritario che definisce l’operazione di riavvicinamento. L’indomani anche la Turchia ha scelto il diplomatico da inviare a Tel Aviv, Kemal Okem, già consigliere del premier per gli affari esteri.
‘Realpolitik’ e questione energetica
La nomina degli ambasciatori significa quindi l’avvio di una nuova fase nelle relazioni bilaterali fra i due stati, mossi da considerazioni pragmatiche. La Turchia rappresenta un comodo alleato per Israele, e viceversa: l’amicizia fra le due potenze permette ad entrambe di esercitare una certa influenza nella regione, e gli accordi bilaterali strategici tra le due hanno già in passato consentito ad entrambe di ottenere dei risultati importanti. Basti pensare a quando nel 1998 la Siria aveva rischiato di essere attaccata militarmente dalla Turchia, che pretendeva l’espulsione di Öcalan. Ai tempi, i rapporti tra Ankara e Tel Aviv erano al loro apice, e molti sono concordi nell’affermare che, fra le altre cose, era quest’amicizia ad aver contribuito al contenimento del conflitto.
Non da meno sono le paure di entrambe le parti rispetto alla recente espansione iraniana. Tentare di moderarla è prioritario per entrambe, e rappresenta un ulteriore motivo per appianare le divergenze. Queste considerazioni di tipo geopolitico si accompagnano ad altre di carattere più economico: già ad ottobre il ministro israeliano Yuval Steinitz si era recato ad Ankara per incontrare la controparte turca e per discutere di un’eventuale gasdotto in grado di condurre il gas israeliano alla Turchia e all’Europa. Nel 2009 Israele aveva infatti scoperto importanti fonti di gas naturale, mentre la Turchia degli ultimi anni, priva di giacimenti particolarmente rilevanti, aveva instaurato una dipendenza sempre più stretta dalla Russia di Putin.
L’incognita Hamas
Pur tenendo conto dei fattori sovra menzionati e stimandone l’importanza non è possibile parlare di un riavvicinamento privo di frizioni. La memoria dell’incidente della Mavi Marmara è ancora viva, e alcune delle clausole dell’accordo di riconciliazione firmato a giugno non sono ancora state rispettate. Una di queste riguarda l’espulsione dei militanti palestinesi di Hamas dalla Turchia, dove questi hanno spesso ottenuto il supporto dell’islamista Erdogan. Piegarsi del tutto al volere israeliano rispetto alla questione israelo-palestinese non è facile per il presidente turco, e alla luce di questo è legittimo domandarsi fino a che punto sia disposto ad arrivare in nome della Realpolitik.