SERBIA: Arresto di Mladić, prime considerazioni a sangue freddo

di Filip Stefanović

Una fotoricostruzione di Mladić risalente al 2005: secondo gli inquirenti, oggi, la più fedele all'originale, sebbene meno magro che nella realtà.

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19:00h – Sono passate solo poche ore dall’arresto di Mladić, avvenuto questa mattina a Lazarevo, un abitato di poco più di 3000 persone in Vojvodina. I dati ad ora forniti sono pochi ma certi: l’ex-generale dell’esercito della Republika Srpska viveva nascosto a casa di un cugino, Branko Mladić, e ora si trova sotto chiave a Belgrado. I particolari escono frammentati e dispersi, ancora non è stata diffusa una foto del soggetto. Secondo alcuni appare male invecchiato, pallido, molto dimagrito, senza capelli. Un vecchio come tanti, che al momento del fermo portava addosso più strati di vestiti e due pistole, che non ha avuto modo di usare. Mentre scriviamo le informazioni corrono e si moltiplicano, e così sarà nei giorni a venire, sia sulle dinamiche dell’arresto, che sulle molte ombre che hanno coperto la latitanza del generale in questi quindici anni, oltre alle connivenze all’interno dell’esercito e delle istituzioni che hanno permesso a Mladić di rimanere per tutto questo tempo nascosto in Serbia, sotto gli occhi degli inquirenti, proprio come nel caso di Karadžić. Intanto possiamo provare a tratte le prime considerazioni.

Per iniziare, per quanto fosse palese e scontata la connivenza della sua famiglia, che l’ha coperto per tutto questo tempo come è successo per molti altri ricercati dal tribunale internazionale dell’Aja, è certo bizzarro scoprire che Ratko Mladić si nascondesse a casa di un cugino, come un principiante. Questo può significare due cose: o il generale si sentiva molto sicuro di sé, e non riteneva di correre un eccessivo pericolo di essere arrestato, oppure tutto il contrario, il cappio attorno alla sua testa si faceva sempre più stretto, l’appoggio dei fedelissimi sempre più instabile, ed il loro numero in continua diminuzione, tanto da non offrire più altra scelta a Mladić che cercare aiuto all’interno della famiglia, agli unici che, per sangue, l’avrebbero seguito e protetto fino in fondo, pur nel limite delle loro possibilità. Per quanto possa apparire un dettaglio da gossip, una risposta a questa domanda getterebbe di certo una luce importante sulle eventuali connivenze (sicure almeno fino ai primi anni 2000) e sulla protezione che Mladić riceveva da parte dei servizi segreti e dell’esercito serbo. Inchiesta che, a credere alle dichiarazioni di oggi del presidente Tadić, verrà di certo avviata.

Nonostante le macchie che un arresto così tardivo potrà comportare, non c’è assolutamente dubbio che la data di oggi segni un passo storico nell’avvicinamento della Serbia all’Unione europea: Mladić rappresentava il maggiore ostacolo politico per la Serbia, a causa di un’Olanda che, sensibile al discorso Srebrenica per la presenza in quella “zona protetta” di suoi soldati ONU, sentiva sulla coscienza, indirettamente, il peso di 8.000 morti massacrati nel luglio del ’95. Il capitolo dei criminali di guerra serbi a piede libero non è infatti ancora chiuso, e prosegue nel nome di Goran Hadžić, presidente dell’autoproclamata Repubblica serba di Krajina, in Croazia, ma l’impatto mediatico dell’arresto di Mladić è tale da non essere nemmeno paragonabile.

È difficile non pensar male, non vedere come l’arresto di Mladić arrivi proprio al momento giusto, a risollevare gli umori dei cittadini in uno dei periodi più difficili per il presidente Tadić ed il suo Partito democratico (DS, Demokratska Stranka), che vede la propria popolarità scendere a picco e le speranze di vittoria alle prossime elezioni ridotte al lumicino. Se adesso a Bruxelles, come ci si attende, la notizia dell’arresto di Mladić e la sua imminente consegna al tribunale dell’Aja faranno l’effetto sperato, tutto fa ritenere che la strada per la candidatura europea della Serbia, e forse addirittura per l’avvio dei conseguenti negoziati d’adesione, sia aperta. Se così fosse, la Serbia, prostrata dalla crisi economica e da una liberalizzazione dei mercati mai completata, incapace al momento di giocare la carta economica e delle riforme per avvicinarsi al traguardo dell’UE, avrebbe puntato tutto sul suo jolly politico più lucroso, Mladić. Ora che il mazzo è così rimescolato, ci si può veramente aspettare di tutto.

Quale che sia la verità, quale che sia il peso di giochi di poteri e maneggi politici dietro alla notizia del giorno, la Serbia, la sua parte sana, oggi ha pieno diritto di festeggiare: un altro importante traguardo è stato raggiunto sulla strada della riconciliazione regionale, il paese è un passo più lontano dagli spettri delle guerre fratricide degli anni ’90, come da coloro che le hanno fomentate e nutrite.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. Proprio questa mattina usciva la notizia che il rapporto di giugno di Brammertz avrebbe punito la Serbia per l’insoddisfacente collaborazione con l’ICTY, sbarrando la strada allo status di candidato UE:
    http://euobserver.com/9/32401
    Ora il rapporto dovrà essere rivisto, e la Serbia ha delle possibilità in più. Le due cose saranno collegate? Il governo serbo ha aspettato ad agire (per questioni di consenso interno) fino a che si è ritrovato con le spalle al muro?

    • Certamente lo saranno. A mio avviso la questione dell’ingresso dei paesi dell’area balcanica nell’Unione europea è soprattutto una questione politica prima che economica, e Romania e Bulgaria ne sono una dimostrazione evidente: non è importante quanto questi paesi siano sviluppati, certo lo diventa in anni di crisi economica in cui anche l’UE deve fare i conti con una situazione finanziaria difficile che rende precario l’assetto già esistente (vedi Grecia), ma più in generale bisogna accettare il fatto che l’Unione VUOLE questi paesi nel suo grembo proprio per disinnescare possibili tensioni che potrebbero condurre a situazioni di instabilità politica e sfociare in conflitto aperto. Perché non è importante se le repubbliche ex-jugoslave siano o no nell’Unione, un conflitto in quell’area rimane sempre un conflitto in territorio intraeuropeo, e questo mina la stabilità dell’intera regione e la sua forza in contesto globale. Proprio per questo l’arresto di Mladic, che è un fatto politico, assume un peso altrimenti inspiegabile sul tavolo delle trattative: esso sblocca le ultime reticenze di paesi quali l’Olanda, e poco importa se ci sono 600.000 poveri in Serbia, se la disoccupazione è al 20%, se lo stato ha evitato per un pelo, a detta di esponenti della stessa UE, un possibile “scenario greco”… la sua candidatura è (quasi) avviata. Dubito che questa mia analisi verrebbe accolta dai veri esperti dell’UE (io di certo non lo sono), ma se davvero pensassimo di dover aspettare che la Serbia soddisfi tutti i parametri richiesti dall’Unione significherebbe che ora come ora stiamo facendo (noi, i media, la Serbia, l’UE…) solo un gran parlare a vuoto, perché la Serbia non avrebbe chance prima del 2050.

      Per quanto riguarda la seconda domanda, è difficile per adesso stabilire nettamente le responsabilità, in positivo come in negativo, del governo serbo: certo quella di un’attesa strategica è un’ipotesi, che a sua volta porta ad altre ipotesi rispetto al perché invece oggi Mladic sia stato arrestato: il governo era spalle al muro? si è aspettato che Mladic perdesse l’appoggio maggioritario dell’opinione pubblica per non pestarsi i piedi da soli sullo scenario politico interno? si è tirato fuori l’asso dalla manica in un momento di bisogno? si è seriamente cercato Mladic per anni e solo ora si è riusciti a localizzarlo con certezza? Tutto può essere, ci sono coincidenze interessanti che lasciano spazio per diversi dietrologismi, ma non esistono nemmeno prove certe al momento, quindi ciascuno ha diritto di credere a ciò che più aggrada, senza però alcuna verità in tasca.

      filste

  2. il 6 giugno la Serbia aspettava il resoconto dal Tribunale circa la collaborazione, la Ashton sarebbe andata in visita da Tadić e di recente l’unione Europea ha scongiurato un altro referendum secessionista della republika srpska, che non e’ altro che il risultato politico della pulizia etnica di Mladić…
    hanno aspettato 16 anni, hanno lasciato vivere l’uomo PIU RICERCATO AL MONDO a 90 km dalla citta’ le cui istituzioni avrebbero dovuto stanarlo chissa quanto tempo fa e ora consegnano UN MORTO CHE CAMMINA…non arrivera’ nemmeno a fine processo, e, come Milošević, morira’ innocente ed eroe….poco importa, la serbia entrera’ nell UE….

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