SERBIA: Se l'Europa chiude le porte di Schengen. Tutta colpa degli zingari

di Filip Stefanović

Da qualche settimana in Serbia aleggia in televisione e sulla carta stampata lo spettro di un possibile ritiro di Serbia e Macedonia dalla lista bianca di Schengen, che dal dicembre 2009 consente il libero transito ai cittadini di questi due stati balcanici per i paesi dell’Unione europea aderenti al trattato, per un massimo di 90 giorni all’anno.

La brutta notizia è stata data dalla slovena Tanja Fajon, rappresentante presso il Parlamento europeo, in un’intervista per il giornale di Belgrado Večernje Novosti il 7 maggio scorso. Le ragioni risiedono nel numero eccessivo di richiedenti asilo, che arrivando nei paesi dell’UE grazie alle frontiere aperte, lì tentano di restare. Ad essere maggiormente interessati dal fenomeno sono paesi come Germania, Svezia, Belgio e Lussemburgo.  Ed è stato proprio il Belgio a lanciare l’allarme, con una lettera ufficiale indirizzata alla Commissione europea, lamentandosi del fenomeno: da quando è stato abolito il regime dei visti, in media, 200 cittadini serbi al mese hanno richiesto asilo, senza peraltro averne i requisiti in quanto provenienti da un paese ritenuto sicuro ed in regime di democrazia, mentre i fattori economici non hanno peso sull’eventuale concessione dello stesso. La crisi si è acuita in questi mesi a causa della forte ondata di immigrati dai paesi dell’Africa settentrionale, che ha alzato il livello di guardia e irrigidito le posizioni dei paesi Schenghen, preoccupati da un – ipotetico – afflusso anomalo di stranieri.

I “finti asilanti” con cittadinanza serba, come sono stati infelicemente battezzati dalla stampa locale, sono nella quasi totalità, 95% dei casi, di etnia rom o albanese. I rappresentanti del governo serbo, con in testa il portavoce Slobodan Homen, si sprecano e dividono ogni giorno tra ottimistiche (e non richieste) dichiarazioni di rassicurazione e fantasiose, inquietanti idee su come risolvere il problema: legislazione più severa in campo di migrazione illegale, confisca temporanea dei passaporti o eventuale rifiuto preventivo di una loro emissione (sulla base di criteri chiaramente ispirati ai diritti universali dell’uomo: etnia, colore della pelle, piedi scalzi o un qeleshe bianco in testa). Ottima notizia insomma per i dipendenti del Ministero degli interni serbo, che dopo aver preso tangenti in quantità da cittadini kosovari per l’emissione di passaporti biometrici serbi, potrebbero così raddoppiare la posta intascandone altre, questa volta per non confiscarli a zingari e albanesi, tra le classi meno protette del debole tessuto sociale serbo.

Come scrive intelligentemente sul sito serbo Peščanik Ivan Kuzminović, direttore esecutivo del Comitato Helsinki per i diritti umani in Serbia, non c’è pericolo che l’Unione europea chiuda le porte alla Serbia, come del resto dichiarato dallo stesso ambasciatore belga a Belgrado, Alain Kundycki, che vede nella sospensione dei visti liberi una scelta estrema e improbabile, in caso di fallimento di tutte le altre politiche. L’Unione europea è interessata, presto o tardi, alla completa annessione e stabilizzazione dell’area balcanica, e comprende bene che una scelta così grave sarebbe prima di tutto uno schiaffo alle forze proeuropeiste serbe, che si troverebbero isolate e indebolite sulla scena nazionale, rischiando di ritardare ulteriormente il già lento processo di maturazione democratica e liberalizzazione economica in Serbia.

L’unica vera, difficilissima, soluzione è quella di rafforzare l’economia del paese intero, ad oggi tra i più poveri d’Europa, con il 20% di disoccupazione. Per chi già viveva al margine, come appunto le minoranze rom (si stimano circa 500.000 zingari in Serbia), è la stessa sopravvivenza a essere messa in discussione: gran parte degli zingari nel paese vive con meno di un euro al giorno, solo un maschio rom su cento raggiunge i 65 anni di età, la metà dei bambini rom in età scolastica soffre di malnutrizione, mentre all’università di Belgrado si conta uno studente gitano ogni 5.000 studenti serbi. La loro richiesta d’asilo potrà anche risultare “finta” sulla carta, ma certo è difficile ritenere tali le motivazioni che conducono alla loro fuga, e alla ricerca di fortuna in occidente.

Chi è Filip Stefanović

Filip Stefanović (1988) è un analista economico italiano, attualmente lavora come consulente all'OCSE di Parigi. Nato a Belgrado si è formato presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e la Berlin School of Economics, specializzandosi in economia internazionale. Ha lavorato al centro di ricerche economiche Nomisma di Bologna e come research analyst presso il centro per gli studi industriali CSIL di Milano. Per East Journal scrive di economia e politica dei Balcani occidentali.

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