IRAN: La corsa agli investimenti vista da Roma e Mosca

Dopo anni di isolamento, fortissima inflazione e recessione pesante, è finalmente giunta l’ora per l’Iran di riaffacciarsi sui mercati internazionali: con la fine dei negoziati dello scorso aprile 2015 le sanzioni economiche imposte progressivamente a partire dal 2006 verranno rimosse contestualmente alla graduale riduzione del programma di arricchimento dell’uranio ed alla concessione agli ispettori dell’AIEA dei permessi di ingresso nei siti sospetti.

Per gli investitori stranieri molte le opportunità strategiche: forza lavoro competitiva in termini di costi e qualifiche, il 64% della popolazione al di sotto dei 35 anni, livello di scolarizzazione molto elevato a fronte di un salario medio di 330 $ mensili. Elementi, questi, che prospettano una forte crescita nel lungo termine.

Tuttavia non si deve distogliere lo sguardo dalle condizioni del mercato interno: all’atteggiamento protezionistico per le produzioni locali si aggiunge la forte corruzione delle autorità di controllo e un impianto sanzionatorio che, pur allentandosi progressivamente, impone la necessità di operare nel rispetto delle normative vigenti.

Il ruolo dell’Italia

A livello europeo, l’Italia è il secondo paese per traffici commerciali con la Repubblica islamica, dopo la Germania. Il volume di scambio è in rapida ascesa fin dal 2014. Oggi la collaborazione sembra diventare sempre più stretta, tanto che lo scorso aprile, in un incontro a Teheran con Matteo Renzi, il presidente iraniano Rohani è arrivato ad affermare che “l’Italia sarà il primo partner dell’Iran”. In quella sede e nel precedente incontro tenutosi a Roma lo scorso gennaio sono stati delineati e firmati un totale di 36 contratti.

Perché questo rapporto privilegiato con l’Italia? Tra i tanti motivi, va sottolineato che da parte iraniana non c’è mai stato il timore che Roma potesse creare problemi, soprattutto per il fatto che i governi che si sono susseguiti non hanno mai preso posizioni nette contro la rivoluzione islamica. E perché l’Italia, pur avendo numerosi progetti comuni di sviluppo, nonché un ampio interscambio commerciale con l’Iraq, ha dichiarato la propria neutralità rispetto al conflitto degli anni ’80.

Le incertezze della Russia

Mentre l’Italia e l’Europa si sono già buttate a capofitto nella corsa agli investimenti, la Russia ha mostrato inizialmente un po’ di incertezze e le iniziative dei privati sono state molto settoriali e di entità poco rilevante.

La svolta è arrivata con il passo di Vladimir Potanin: secondo quanto riporta l’agenzia russa Kommersant, mediante una triangolazione di capitali attraverso un fondo di investimento ed altre aziende, il magnate del nickel avrebbe indirizzato dei fondi verso Digikala (la “Amazon Iraniana”) ed una compagnia telefonica per uno sviluppo maggiore al di fuori dei grandi centri urbani.

Questo riavvicinamento con la Russia in campo economico è stato reso possibile da una convergenza delle posizioni riguardo le sorti del regime di Assad. L’Iran vede la questione siriana come un problema di sicurezza nazionale, non estero, analogamente a come la Russia vede il Caucaso, e intende tentare di mantenere lo status quo con ogni mezzo. L’establishment baathista siriano ha ricevuto negli ultimi due anni investimenti per circa 10 miliardi di dollari a fondo perso da Teheran.

La forte comunione di intenti ha avuto un primo riscontro nell’aprile 2015, quando il Cremlino ha deciso di sbloccare le trattative per la vendita del sistema missilistico di difesa S-300, un contratto sospeso nel 2007, successivamente congelato nel 2010 a causa del progressivo inasprimento delle sanzioni imposte all’Iran. Lo scorso 8 giugno si sono incontrati a Tehran i ministri della difesa dei 3 paesi: dal vertice è uscito un rafforzamento dell’asse contro il terrorismo, non solo in Siria, ma in tutta la regione mediorientale.

La vendita dello scudo missilistico di difesa, quindi, configura l’investimento come un accordo militare. Le concessioni fatte all’Iran in Siria da parte di Mosca potrebbero rientrare nella prospettiva di un allontanamento di Teheran dall’area caucasica, dove gli interessi delle due potenze contrastano. L’attuale convergenza di interessi sul piano militare si scontra quindi con differenze politiche (e ideologiche) non indifferenti, che sul lungo termine potrebbero rimettere in discussione questo asse Mosca-Teheran.

Chi è Leonardo Scanavino

Project Assistant presso lo European Centre for Electoral Support (Bruxelles), è laureato in Relazioni Internazionali e Studi di Sicurezza presso la Scuola Superiore Sant'Anna (Pisa) e l'Università di Trento. In precedenza, ha frequentato un semestre di studi (Erasmus) prasso la Latvijas Universitāte (Riga, Lettonia), e ha svolto uno stage presso l'Ufficio Economico e Commerciale dell'Ambasciata d'Italia presso la Federazione Russa a Mosca. Parla inglese, francese e studia russo.

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