“L’Ungheria deve garantire spazio alla società civile”, questo è il preoccupante titolo del report annuale del Norwegian Helsinki Committee, un’importante organizzazione non governativa che si occupa di democrazia e diritti umani, soprattutto nell’area ex-sovietica. Il dossier riporta la situazione della società ungherese degli ultimi anni ripercorrendo le vicende che hanno coinvolto le ONG straniere che operavano sul suo territorio, ma concentrandosi anche su quelle organizzazioni locali che hanno svolto un ruolo importante nell’ultimo anno a seguito della crisi dei migranti.
Il punto di partenza dell’analisi è il 2014, anno in cui molte ONG, soprattutto norvegesi, sono state accusate dal governo di diffondere e finanziare idee anti-governative. Le relazioni tra le ONG norvegesi e lo stato ungherese erano garantite da accordi bilaterali, “violati” dal governo Orban, che nella primavera 2014 stilava una lista nera composta da 13 associazioni locali finanziate dalle ONG norvegesi e dal fondo europeo per l’ambiente (EEA), che si occupavano soprattutto di minoranze. Nello stesso periodo, un report dell’Ufficio Governativo di Controllo, evidenziava presunte “irregolarità” nei progetti di circa 63 organizzazioni sottoponendo le loro sedi a perquisizioni e controlli finanziari, bloccandone di fatto l’attività.
Alla fine di questa vicenda, Orban e il suo governo hanno annunciato che senza il controllo dell’ autorità di cooperazione nessuna ONG straniera avrebbe potuto operare in Ungheria. Come in Russia, dove Putin aveva fatto esattamente lo stesso qualche tempo prima. Il polverone mediatico, scatenato dai media filo-governativi e dall’esecutivo stesso, ha quindi isolato e vanificato il lavoro di moltissime associazioni, e non solo di quelle coinvolte nell’inchiesta, abbandonate da sponsor, partner, donatori e avvocati.
Nonostante nel 2012 l’Ungheria sia entrata a far parte dell’Open Government Partnership (OGP), un’iniziativa che coinvolge vari paesi nell’attuazione di piani per migliorare la trasparenza amministrativa e della finanza pubblica, il governo ungherese non ha facilitato l’accesso alle informazioni sulla sua attività, né attuato provvedimenti anti-corruzione. Gli emendamenti apportati alla Legge sulla libertà d’informazione e il piano anti-corruzione creato, infatti, sono stati messi in atto senza consultare nessuna organizzazione che opera nell’ambito della trasparenza.
Nonostante questa situazione, il report segnala anche che c’è una piccola parte di società civile che rimane attiva occupandosi dei temi più scottanti come quello dei rifugiati. Tra l’estate e l’autunno dello scorso anno infatti è stata creata Migration Aid, un’ associazione che aiuta i profughi di passaggio in Ungheria con informazioni e beni di prima necessità. Ora che i confini magiari sono stati parzialmente chiusi, l’associazione si è messa in rete con organizzazioni gemelle in Croazia ed Austria, tentando sempre di richiamare il governo all’attenzione delle sue responsabilità in materia migratoria. Questa richiesta venne accolta in parlamento a fine 2015 quando Orban assicurò che queste organizzazioni avrebbero ricevuto finanziamenti dal governo, ma nella lista stilata da Fidesz non appariva il nome di Migration Aid, affermando che quest’ultima avrebbe ricevuto laudi finanziamenti da Soros, il quale è stato paradossalmente anche accusato di finanziare l’immigrazione clandestina. L’imprenditore, intimo amico dei Clinton e finanziatore di numerose campagne per il Partito Democratico americano, nonché fondatore dell’Open Society (una delle società tra le più critiche nei confronti delle politiche di Orban) è considerato dal governo “cane da guardia” delle organizzazioni di matrice anti-governativa.
Alla luce di questi fatti, sebbene ci siano dei rimasugli di società civile, e nonostante alla fine del 2015 gli accordi per i fondi tra Norvegia e Ungheria siano stati ristabiliti, la vita delle ONG, straniere e non, che promuovono, uguaglianza, rispetto delle minoranze e dei diritti civili fondamentali sul territorio ungherese è scarsa, e quando c’è è difficile. Cos’altro ci si poteva aspettare da un governo come quello di Budapest, il cui leader ha sempre creduto che anche uno stato non liberale può e deve essere considerato democratico?