KAZAKISTAN: Il governo insegue la chimera del giacimento di Kashagan

La storia dei Paesi dell’Asia centrale è costellata di casi di risorse economiche che, a causa di decisioni folli e gestioni sconsiderate, sono state dilapidate oppure si sono trasformate in enormi voragini economiche. È il caso, per esempio, del giacimento di Kashagan, che da manna inaspettata si è trasformato in un eterno cantiere aperto, capace di inghiottire grandi quantità di denaro.

Il giacimento di Kashagan si trova nel Mar Caspio, al largo della città kazaka di Atyrau, ed è stato scoperto nel 2000. Il rinvenimento del sito, avvenuto insieme a quello del vicino giacimento di Tengiz, era stato salutato all’epoca come la più grande scoperta del settore degli ultimi trent’anni. Come prevedibile, la scoperta dell’enorme giacimento aveva suscitato l’entusiasmo della leadership kazaka, che sul petrolio ed il gas naturale basava, come basa ancora oggi, il proprio potere. Ben presto iniziarono i lavori per lo sviluppo del sito, che vennero affidati alla North Caspian Operating Company (NCOC), un consorzio internazionale che riunisce compagnie petrolifere da tutto il mondo: esso infatti annovera l’italiana Eni, la kazaka KazMunayGaz, la francese Total S.A., l’anglo-britannica Royal Dutch Shell, la statunitense Exxon Mobile (ognuna delle quali possiede una quota del 16,81%), la cinese China National Petroleum Corporation (che possiede l’8,4%) ed infine la giapponese  Inpex (con il 7,56%).

I piani erano di portare la produzione del sito a 22,5 milioni di tonnellate, la quali sarebbero dovute andare a rifornire l’oleodotto kazako-cinese, che corre dalla città di Atyrau ad Alashankou, nello Xinjiang cinese.

Questi sogni però sono naufragati nel giro di poco tempo, a causa dell’aumento spropositato dei costi di produzione e sviluppo. L’inclemente clima del Caspio settentrionale, che può passare dai -35 gradi invernali ai 40 gradi estivi, uniti ad episodi di corruzione e cattiva gestione, hanno fatto lievitare i costi, passati dai 10 miliardi stimati inizialmente agli attuali 44,5 miliardi. La produzione è finalmente iniziata nel 2013, ma poche settimane dopo l’impianto è stato bloccato a causa di una perdita, e da allora è rimasto inutilizzato.

Nonostante ciò, il governo kazako non ha perso del tutto interesse nelle enormi quantità di petrolio di Kashagan, stimate in 13 miliardi di barili, e negli ultimi tempi, complice la crisi economica ed il bisogno disperato di aumentare la produzione per vendere di più, Astana ha rispolverato i piani per il giacimento. Lo scorso 30 marzo, infatti, una nota stampa diramata dal Caspian Pipeline Consortium, il consorzio che si occupa del giacimento gemello di Tengiz, ha rivelato che il governo kazako punta alla ripresa della produzione di petrolio del sito a partire dal prossimo autunno.

Alla luce della situazione mondiale del petrolio, tuttavia, i piani di Astana appaiono quanto meno velleitari. Il petrolio estratto da Kashagan infatti è molto caro, e per essere economicamente conveniente richiedere un prezzo del greggio superiore ai 100 dollari al barile, ben superiore al prezzo attuale, che si aggira attorno ai 45 dollari. Il mercato inoltre non dà alcun segno di ripresa ed il recente vertice di Doha, dove nei giorni scorsi si è tenuta una riunione dei Paesi produttori di petrolio per cercare di congelarne la produzione, si è concluso con un nulla di fatto a causa principalmente delle continue tensioni tra Iran ed Arabia Saudita.

Nel mercato internazionale del petrolio inoltre il governo di Astana sconta inoltre una grande debolezza di base. Nonostante il fatto che il Kazakistan sia il 18° Paese per produzione di petrolio ed il 12° per riserve provate, il Paese non è parte dell’Opec ed ha tradizionalmente avuto un’influenza molto bassa, per non dire nulla, sulle decisioni riguardanti la produzione ed il prezzo del petrolio a livello mondiale.

Un altro punto ancora poco chiaro è la direzione che il petrolio di Kashagan dovrebbe prendere, dal momento che i principali partner commerciali del Kazakistan, ovvero Cina e Russia, hanno drasticamente ridotto le proprie importazioni di oro nero. Nonostante le velleità di Astana, ben pochi scommetterebbero sul futuro di Kashagan, che sembra a tutti gli effetti destinato ad essere un’eterna incompiuta.

Chi è Umberto Guzzardi

Nato a Novara nel 1991, appassionato di geopolitica, relazioni internazionali, storia antica e moderna, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Alma Mater Studiorum Università di Bologna sede di Forlì. Ha trascorso vari periodi di studio all'estero, tra cui uno in Lituania ed un altro a Buenos Aires, per la scrittura della tesi magistrale. Atualmente è Ricercatore presso Wikistrat, e collabora anche con il Caffè geopolitico, dove si occupa di America latina e Sud-est asiatico.

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