Verso le nove di sera di sabato 30 gennaio alcuni soldati italiani della missione KFOR hanno fermato un’automobile che si dirigeva verso l‘ingresso del monastero di Visoki Dečani, patrimonio UNESCO, situato 12 km a sud di Peč. Nell’automobile sono stati trovati un kalashnikov, alcune munizioni e una pistola, oltre a vari libelli trattanti probabilmente propaganda fondamentalista islamica. Non si sa ancora con certezza di cosa trattassero tali pamphlets anche se l’abate del monastero, Sava Janjić, ha le idee chiare, sostenendo che il monastero sia stato attaccato quattro volte da estremisti islamici negli ultimi dieci anni, senza che ci fossero conseguenze giuridiche serie nei confronti delle persone arrestate.
Di fatto, la versione della polizia kosovara non parla di pericolo jihadista; le quattro persone a bordo dell’automobile, kosovari albanesi, sono state difatti arrestate per possesso illegale di armi. Non solo: la polizia ha negato ogni possibile legame tra i fatti e un progetto di attacco terroristico.
Non la pensa ovviamente così Sava Janjić, il quale tramite i propri (seguitissimi) profili social ha manifestato le proprie perplessità nei confronti della versione di Baki Kelani, portavoce della polizia kosovara. Secondo il prelato ortodosso, in primo luogo trovare quattro persone che nella propria automobile hanno armi e “letteratura islamica” (sic!) rappresenterebbe una fattispecie completamente diversa rispetto al semplice possesso illegale di armi da fuoco. In secondo luogo non sarebbe assolutamente vero, come si legge nel documento della polizia, che i quattro siano stati fermati sulla via che porta al monastero dalla polizia kosovara, ma che anzi gli stessi si siano fermati autonomamente alla vista del contingente KFOR (dal 2004 a protezione della chiesa) e che solo successivamente la polizia kosovara sia intervenuta. Janjić chiede una maggior trasparenza da parte della polizia, per non intaccare quantomeno la fiducia che la popolazione dovrebbe avere in tale istituzione. Al contempo lancia un’ulteriore segnale: la presenza della KFOR, visti i già citati attacchi avvenuti negli scorsi anni, si rivela ancora fondamentale per la preservazione della sicurezza di un importante simbolo della Chiesa ortodossa.
Marko Đurić, consulente per l’Ufficio degli Esteri della presidenza della Repubblica di Serbia, si è detto preoccupato per un simile fatto. Tralasciando il fatto in sé, cioè l’arresto di quattro uomini armati, Đurić ha ripreso le parole di Sava Janjic per poter fare pressioni politiche: è evidente, secondo Đurić, che simili fatti nascano dai mancati accordi sulle municipalità serbe in Kosovo. Da tale miopia politica, secondo il politico serbo, deriverebbero problemi di questa natura.
Ma mentre i media serbi sembrano più allineati alla versione ufficiale della polizia kosovara, altri giornali esteri sposano le affermazioni del religioso ortodosso per effettuare considerazioni anti-islamiste. La Pravda scava nel torbido e porta a galla alcuni episodi avvenuti anni prima, citati già dallo stesso Janjic, per dare validità alla pista del terrorismo islamico. Sullo stesso solco si inserisce Le Figaro, che oltre a millantare un tentativo di attentato, conteggia almeno 300 albanesi kosovari nelle file del Daesh.