Anche la “civilissima” Svezia espelle i migranti. Ma è davvero così?

Da STOCCOLMA – Il dibattito sull’opportunità di accogliere o respingere i migranti tiene banco nella stampa italiana e anche la Svezia è stata tirata in mezzo alla questione: l’espulsione di 88mila persone da parte di Stoccolma ha fatto dire a molti che il modello dell’integrazione e dell’accoglienza è finito una volta per tutte. Ma come stanno realmente le cose?

Espulsioni

L’omicidio di una giovane 22enne svedese avvenuto all’interno di un centro di accoglienza per richiedenti asilo a Mölndal, per il quale è stato accusato un ragazzo 15enne ospite della struttura, ha avuto grande eco su tutta la stampa europea. Ma un’eco ancora più grande ha avuto – almeno in Italia – la notizia di qualche giorno dopo secondo cui la Svezia si preparerebbe a espellere circa 80mila persone che hanno fatto domanda per l’asilo politico.
“Ma come? Anche la civilissima e accogliente Svezia allora ne ha abbastanza di tutti questi immigrati”, è stato il tenore medio dei commenti nel Belpaese. Peccato che, se andiamo a guardare i numeri, non sia proprio così. La cifra di cui ha parlato il ministro degli Interni scandinavo Anders Ygeman, citato in un articolo dalla Bbc, è infatti solo una stima basata sulla tendenza degli anni passati.

Nel 2015 infatti la Svezia ha analizzato approssimativamente 58.800 richieste di asilo accettandone “solo” il 55%. Ecco che quest’anno quindi, mantenendo le stesse percentuali, le domande respinte (o meglio, quelle “non accettate”) salgono enormemente. Nel 2015 infatti il governo ha preso in carico 163mila richieste di asilo, il più alto numero pro capite d’Europa; ed è perciò facilmente spiegata la previsione fatta da Ygeman. Che – è meglio sottolineare nuovamente – è solo una previsione e non una decisione politica. “È un caso che credo possa coinvolgere 60mila persone, ma il numero può salire anche fino a 80mila”, sono state le parole esatte del ministro riportate dalla stampa.

Altro clamore ha suscitato poi il fatto che la Svezia si appresterebbe a “deportare” (così su vari giornali italiani) tutti coloro la cui domanda è stata respinta. Anche in questo caso però è un clamore abbastanza superfluo in quanto, pur con difficoltà, il governo applica già questo tipo di politica quando si può (che comunque ha molti problemi pratici e non è sempre possibile).

L’Ufficio Immigrazione

Che nella politica di accoglienza non sia – ancora – cambiato nulla, lo ribadisce anche Migrationsverket – l’Ufficio Immigrazione svedese. Contattato direttamente da East Journal, l’ufficio stampa dell’agenzia governativa ha tenuto a precisare che al momento l’unica cosa di sostanziale che è cambiata rispetto a prima è la reintroduzione dei controlli d’identità alle frontiere.

Tuttavia il primo ministro Stefan Löfven in novembre ha portato in parlamento delle proposte per cambiare alcune politiche in campo migratorio. Queste nuove misure serviranno “per creare una tregua nella ricezione dei rifugiati in Svezia”, spiega il sito del governo. In pratica si vuole ottenere “una drastica riduzione del numero di persone che cercano asilo e a cui viene concesso un permesso di soggiorno. Il governo vuole quindi adeguare temporaneamente le norme in materia di asilo al livello minimo della Ue, in modo che sempre più persone scelgano di chiedere asilo negli altri paesi europei”.

Queste proposte, che devono ancora essere accettate, variano dall’assegnazione di un permesso di soggiorno a tempo (e non più illimitato) per i richiedenti asilo, all’inasprimento di alcune norme per chi chiede il ricongiungimento familiare. Ulteriori particolari possono essere letti direttamente in inglese sul sito governativo.
“Ma cosa significherà esattamente la nuova legislazione sul piano pratico, in realtà si potrà dire solo quando sarà accettata in parlamento”, spiegano ancora gli addetti di Migrationsverket. “Attualmente l’unica cosa che l’Ufficio Immigrazione può fare è organizzarsi e prepararsi per i cambiamenti”.

Assalto agli immigrati

Ma che la situazione sociale sia comunque in un momento critico non è solo il governo a dirlo. La crescita costante del partito di estrema destra Sverigedemokraterna ne è senz’altro un effetto. Come lo è anche l’aumento dell’insofferenza e dell’intolleranza allo straniero.

Venerdì 29 gennaio un centinaio di persone incappucciate, nei pressi della stazione Centrale di Stoccolma, hanno tentato un assalto agli stranieri distribuendo un volantino di rivendicazione. “Raid nazista, attacco agli immigrati”, hanno titolato praticamente tutti i giornali italiani. Il volantino rilasciato dagli assalitori se la prende principalmente con il governo e le forze di polizia incapaci, a loro dire, di affrontare l’emergenza che la Svezia sta vivendo in questi mesi.

È probabile che il gruppo di assalitori sia stato composto da gruppi di ultras locali e alcuni simpatizzanti di estrema destra. “La presenza di estremisti non è una novità”, ha detto Daniel Poohl, presidente di Expo – una fondazione che combatte contro l’intolleranza e il razzismo. “L’elemento nuovo è nel modo in cui si sono uniti”.
Il tabloid svedese Aftonbladet ha parlato di attacchi a persone dall’apparenza straniera, ma la polizia non ha pienamente confermato. Nel rapporto ufficiale si parla di tre uomini arrestati per un generico “sospetto assalto”; tre presi in custodia per essersi mascherati e aver disturbato l’ordine pubblico; un arresto per ubriachezza e possesso di coltello. Singolare è infine il fatto che fra le persone fermate dalle forze dell’ordine ci fossero alcuni cittadini polacchi.

Ultima precisazione: la rivendicazione sosteneva anche la necessità di farsi sentire contro “i bambini di strada nordafricani”. Quest’affermazione non ha il significato che gli hanno dato alcuni giornali italiani, secondo cui il gruppo programmava di attaccare realmente i “bambini”. Gatubarnen (“bambini di strada”) è il nome con cui le forze dell’ordine identificano un gruppo di ragazzi per lo più provenienti dal Marocco: “Si tratta di circa 300 persone di età compresa tra i 15 e i 20 anni – ha spiegato l’ufficiale di polizia Patrik Ungsäter – che fra le altre cose vanno avanti commettendo crimini”. Il problema ha assunto una rilevanza tale da portare la questione sul tavolo della politica su richiesta degli stessi agenti. “Questi ragazzi sono allo stesso tempo sia vittime che carnefici – ha continuato Ungsäter –. Ma la faccenda ha ancora molti lati oscuri, in quanto non esistono molti rapporti di polizia al riguardo”.

Chi è Valerio Pierantozzi

Giornalista professionista, sono nato a San Benedetto del Tronto nel 1980, ma sono pescarese di adozione. Ho passato 20 anni della mia vita a scuola, uscendo finalmente dal tunnel nel 2006 con una laurea in Filosofia. Amo il mare, il sole, le spiagge e odio il grigiore, le nubi, il freddo. Per questo nel 2014 mi sono trasferito in Svezia. Da grande vorrei essere la canzone “Night” di Sergio Caputo.

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