CINEMA: Želimir Žilnik, fare cinema ai margini

Quest’anno DocLisboa, uno dei più importanti festival europei, ha dedicato una retrospettiva completa al regista serbo Želimir Žilnik, uno dei più importanti registi della ex Jugoslavia.

Nato nel 1942, con Dušan Makavejev, Alexandar Sasha Petrovic, Zivojin Pavlovic ha dato vita negli anni ’60 alla nouvelle vague jugoslava, chiamata anche black wave, che come molte vague dell’est europeo ha cercato di superare le tematiche patriottiche di un cinema classico andando a privilegiare il privato e innovando così il linguaggio.

Žilnik, giovane intellettuale, comunista e cinéphile, si concentra già a partire dai primi cortometraggi sulla vita di tutti i giorni con storie di persone ai margini, anche se in Jugoslavia  non si poteva ufficialmente riconoscere che alcuni suoi cittadini potessero essere senza lavoro (The unemployed) o trascurate dai loro genitori (Little Pioneers) o senza fissa dimora (Black film).

Le manifestazioni del 1968 e l’occupazione della Cecoslovacchia sono al centro del primo lungometraggio di Žilnik Early Works-Opere giovanili con cui vince “L’Orso d’oro” al Festival di Berlino, un film indipendente e sovversivo che mescola brechtianamente Marx e burla. Il film viene venduto e visto in tutto il mondo ma incappa nella censura jugoslava, che fino ad allora era stata abbastanza morbida. Questo episodio è stato al centro di una masterclass che Žilnik ha tenuto a Lisbona, in modo divertito ha raccontato come si è difeso in un caso che fu addirittura al centro di un voto parlamentare.

Žilnik ne uscì emigrando in Germania dove ha poi realizzato documentari che sono stati tra i primi ad occuparsi della manodopera straniera. Paradise-an imperialistic tragicomedy del 1976 si inserisce invece pienamente nel clima del nuovo cinema tedesco degli anni ’70, surreale e provocatorio racconto di giovani rivoluzionari che provano un rapimento, un film direttamente anticipatore della Terza generazione di Fassbinder.

Alla fine degli anni ’70 Žilnik torna in Jugoslavia e lavora per le TV di Belgrado e di Novi Sad, raccontando le crescenti tensioni e i cambiamenti politici e sociali nel paese. Fu un periodo molto produttivo con 11 film, ed è in questi anni che mette a punto il suo cinema tra documentario e fiction, che si può chiamare docufiction o docudrama, che poi ha avuto proseliti negli anni a venire: un modo di girare forzato da limitate esigenze produttive e da una volontà di essere aderente alla realtà senza però esserne solo un osservatore passivo.

Filma ovviamente la disintegrazione della Jugoslavia e nel 1994 con Tito among the serbs for the second time fa addirittura tornare un finto Tito tra le strade di Belgrado provocando un surreale cortocircuito presente/passato. Ha poi sperimentato la fantascienza, girato un film sui brogli elettorali di Milosevic e anche Marble Ass, il primo film jugoslavo con protagonista un transessuale, vincitore del “Teddy Award” alla Berlinale 1995.

Negli anni 2000 il collasso del sistema di valori, la transizione verso l’Europa e i problemi di rifugiati e immigrati diviene il centro del suo cinema: Fortezza Europe, Europe Next Door e soprattutto la trilogia sul giovane Kenedi (Kenedi Goes Back Home, Kenedi, Lost and Found e Kenedi si sta per sposarsi) sono gli esempi più significativi. Lo zingaro inquieto Kenedi che dalla Germania torna in Kosovo e non si sente appartenere a nessuno stato è forse l’eroe archetipico di Žilnik. I problemi della lingua dimenticata, un passaporto Schengen come chimera e il bastione inattaccabile dell’Europa costituiscono temi fortissimi, ma come sempre nel suo cinema nonostante la durezza della storia, tutto è sempre narrato con ironia e la vita vera sembra correre sullo schermo.

Nel suo ultimo The Old School del capitalism (2009) c’è forse la summa del suo cinema: documentario nelle manifestazioni e nel vox populi, fiction spoglia e quasi improvvisata nel raccontare la storia di operai che vogliono riprendersi i soldi che il padrone gli deve. Divertente e folle con scene popolate da un sacco di personaggi, apparentemente improvvisate ma complessissime. Alimentato dal dubbio, Žilnik filma con tre telecamere contemporaneamente in un testamento al suo metodo democratico.

Anche se la Jugoslavia è scomparsa dalla mappa del mondo, nel cinema di Želimir Žilnik torna a vivere: 50 anni di storie marginali, di uomini invisibili contro il sistema, e uno stile unico tra dramma e divertimento tipicamente balcanico. Per chi vuole approfondire sul suo sito personale si possono trovare clip dei film, fotografie, documenti e ci si può perdere nella sua sterminata filmografia.

Link sito zilnik http://www.zilnikzelimir.net/filmography

link doclisboa: www.doclisboa.org

link film black wave http://www.tasteofcinema.com/2014/15-essential-films-for-an-introduction-to-the-yugoslav-black-wave/

Chi è Claudio Casazza

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