Il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik ci tiene, almeno a suo dire, alla costituzionalità del suo referendum sul sistema giudiziario bosniaco. Per questo ha detto di posticiparlo fino a che i tribunali di giustizia costituzionale non si siano espressi in merito alla regolarità del referendum e delle sue modalità di esecuzione. Protagonisti di questa battaglia sono la Corte Costituzionale dell’entità a maggioranza serbo-bosniaca e, in prospettiva, la Corte Costituzionale dello stato bosniaco-erzegovese.
Già nel 2011 Dodik aveva indetto un referendum sui poteri dell’Alto Rappresentante e l’illegittimità costituzionale della Corte della Bosnia-Erzegovina, un tribunale a livello statale che si occupa in particolare di crimini economici, crimini di guerra e terrorismo. Il quesito referendario attuale è praticamente uguale a quello del 2011. In una relazione al Consiglio di Sicurezza, l’Alto Rappresentante Valentin Inzko ha spiegato in che modo il referendum serbo vìola la Costituzione e l’Accordo di Dayton.
La validità del veto per interesse nazionale vitale in Republika Srpska
A inizio settembre, la Corte Costituzionale della Republika Sprska (RS) aveva dato il via libera al referendum. In estate, il gruppo bosgnacco alla Camera dei Popoli (la camera alta) della RS aveva sospeso il referendum con il proprio veto. Dodik è andato in appello, e il 9 settembre la Corte Costituzionale della RS ha annullato il veto bosgnacco e dato il via libera al referendum. Già nel 2010, quando Dodik aveva fatto approvare una legge sul referendum a livello di entità, i bosgnacchi avevano posto il veto, prontamente annullato dalla Corte Costituzionale della RS. La Corte Costituzionale della RS ha però precisato che toccherà alla Corte Costituzionale della Bosnia-Erzegovina valutare la costituzionalità del referendum alla luce della costituzione bosniaca. La Corte Costituzionale RS può soltanto pronunciarsi sulla conformità del referendum con la costituzione dell’entità, e non con quella a livello statale.
Anche se le chances del ricorso apparivano esigue, il gruppo bosgnacco alla Camera dei Popoli della Republika Sprska aveva posto un veto all’organizzazione del referendum. In palese violazione del dettato costituzionale, la Corte Costituzionale della Srpska ha stabilito nel 2005 nelle sue regole interne che un veto per interesse nazionale debba essere approvato da cinque dei sette giudici, i due terzi (Articolo 52 delle regole di procedura della Corte Costituzionale RS). Ciò significa che anche nei casi in cui una maggioranza di giudici ritengano che sia violato un interesse vitale di un popolo costituente, il veto non passa. Nel caso di specie, i bosgnacchi lamentavano che la commissione organizzatrice del referendum non rispecchiasse il principio costituzionale di parità fra i popoli costituenti. Il veto è stato contestato dal gruppo serbo-bosniaco, croato-bosniaco e dal gruppo degli ‘altri’ nella seconda camera parlamentare della RS. Toccava dunque alla Corte Costituzionale RS decidere se il veto fosse costituzionale o meno.
Hadžiomerović, leader bosgnacco nella camera dei popoli della RS, riteneva un ricorso sostanzialmente inutile ma necessario dal punto di vista procedurale. La finalità era quella di ricorrere alla Corte Costituzionale dello stato centrale, che tuttavia era possibile solo dopo aver esaurito tutte le vie di ricorso a livello di entità. Ma, contro le aspettative di Hadžiomerović, il 17 novembre la Corte Costituzionale RS ha infine approvato il veto bosgnacco.
Tempi più lunghi
Questo vuol dire che i tempi per il referendum si allungheranno ulteriormente. Il parlamento della RS dovrà tenere conto delle linee guida della Corte (la cui decisione tuttavia non è ancora stata pubblicata sul sito). Una volta approvata la nuova legge, non sono da escludere ulteriori ricorsi alla Corte Costituzionale RS. Qualora questi fallissero, il gruppo bosgnacco dispone di ulteriori mezzi giuridici per bloccare il referendum. L’opzione più facile e diretta sarebbe un ricorso costituzionale del presidente Izetbegovic. In quanto membro della presidenza della Bosnia-Erzegovina, Izetbegovic ha accesso diretto alla Corte Costituzionale statale senza dover giustificare il proprio interesse nel caso. Quel che appare certo è che i giudici non hanno ancora detto l’ultima parola. La partita del referendum, quella disputata sul campo dei tribunali di giustizia costituzionale, rimane ancora tutta da giocare.
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Sarebbe molto più interessante se, invece di rimarcare la lieve incostituzionalità delle proposte della RS, analizzaste le pesantissime violazioni costituzionali grazie alle quali le repubbliche – due in particolare – si dichiararono indipendenti dalla RFS Jugoslavia.
No, non lo sarebbe: sarebbe fuori tema.
Se le interessa tale tema, le consiglio lettura delle conclusioni della Commissione Badinter del 1992