CINEMA: Il Mar Nero (si) racconta

Vedere nell’acqua un elemento comune che unisce popoli diversi piuttosto che una frontiera tra stati rivieraschi. E domandarsi in che modo il rapporto con questa risorsa cambi a seconda della lingua incontrata. “Tristia – Eine Schwarzmeer-Odysee” (un’Odissea del Mar Nero) è l’ultimo film-documentario del regista polacco Stanislaw Mucha, che con immagini suggestive e testimonianze varie racconta la vita intorno al Mar Nero, mescolando la quotidianità a richiami storici, così come attualità a mito.

Presentato quest’anno alla 29a edizione del festival “Filmtage Bozen/Bolzano Cinema” e ora uscito nelle sale tedesche, la pellicola rappresenta un lavoro sapiente e non scontato che gioca la carta dell'(auto)ironia. Girando in senso orario dal delta del Danubio in territorio ucraino e finendo in Romania, il viaggio si costruisce grazie a persone e racconti di ogni tipo. Primi piani di bambini con croci ortodosse appese al collo e grandi occhi vivi che bucano lo schermo. Fisarmoniche malinconiche e donne russe che intonano canzoni di altri tempi. Yacht milionari al posto di sottomarini. Tatare di Crimea, Medea e il Vello d’Oro come ultima moda da spiaggia. Animali, discariche a cielo aperto e corpi semi-nudi in riva al mare. Pescatori, giovani patrioti uniti nello sport, Gastarbeiter e ragazze gonfie di botox che abitano spazi paralleli. Kalaschnikow nel mercato delle pulci a Odessa e pirožki a Suchumi. Donne forti, come le mitiche Amazzoni, che sognano di uomini onesti e rispettosi nei loro confronti. E su tutti vegliano i monumenti di Lenin e Ovidio. Proprio da quest’ultimo prende ispirazione il titolo del film, dall’omonima raccolta di elegie “Tristia” del poeta latino esiliato a Tomi (oggi Constanța, Romania) per mano dell’imperatore Augusto nell’8 d.C.

Nonostante con pochissime eccezioni prevalga un’atmosfera positiva in quasi tutte le località visitate, in un’intervista rilasciata alla radio tedesca Deutschlandfunk il regista rivela che di difficoltà ne ha incontrate molte. La macchina bloccata nel fango a inizio pellicola è un richiamo esplicito a questo aspetto, che tuttavia è stato volutamente tralasciato per non dar vita ad una seconda personale “Tristia”. Mucha parla delle 22 ore di attesa al confine tra Polonia e Ucraina, e del sollievo nel vedere la bandiera europea sventolare sulle coste bulgare. La sicurezza di avere tutti i documenti in regola non ha reso facile neanche il passaggio tra Abkhazia e Georgia. Questo è il tratto del documentario in cui si devia dalla rotta “leggera” del viaggio, dove i discorsi si fanno più cupi nel rievocare traumi e strascichi della guerra del 1991-1993. A pelo d’acqua ecco affiorare anche altri temi spinosi, come l’omosessualità in Ucraina, la macchina organizzativa per le olimpiadi di Soči, la pesca illegale di delfini, i pregiudizi reciproci tra stati e lo sfruttamento intensivo dello stesso Mar Nero. Ma si tratta anche in questi casi di elementi integranti e non forzati, di episodi che fanno parte di questi luoghi e di cui le persone raccontano (o tacciono) di propria sponte. L’occhio del regista infatti resta neutrale, non si schiera, ma dà voce all’autenticità dei personaggi di volta in volta incontrati.

Di popoli “barbari” e terre inospitali, come descritto nei versi del poeta sulmonese, non v’è traccia. Il film invoglia ad intraprendere lo stesso viaggio, a scoprire e valorizzare uomini, saperi e luoghi. Nato nella città polacca di Nowi Targ, a circa 25 km dalla Slovacchia, Mucha ha esperienza diretta con i confini. Con i suoi film cerca di superarli, soprattutto quelli mentali e culturali. Con “Tristia” invita appunto a ripensare un rapporto in chiave positiva e collaborativa con il proprio (stato) vicino.

Foto: Ereğli, Turchia. Francesca La Vigna, 2011

Chi è Francesca La Vigna

Dopo la laurea in Cooperazione e Sviluppo presso La Sapienza di Roma emigra a Berlino nel 2009. Si occupa per anni di progettazione in ambito culturale e di formazione, e scopre il fascino dell'Europa centro-orientale. Da sempre appassionata di arte, si rimette sui libri e nel 2017 ottiene un master in Management della Cultura dall'Università Viadrina di Francoforte (Oder). Per East Journal scrive di argomenti culturali a tutto tondo.

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