Nel corso del mese di settembre hanno dato notizia, in Georgia, i disordini a Gurdjani, cittadina del Kakheti, una regione agricola nella parte orientale del paese nota per la sua produzione di vino. Migliaia di persone hanno manifestato e si sono scontrate con la polizia causando la chiusura delle arterie principali della regione e costringendo le forze dell’ordine ad arrestare alcuni dei manifestanti. La minaccia, da parte dei partecipanti alla manifestazione, di proseguire le proteste con metodi ancora più radicali, ha fatto parlare di una possibile “rivoluzione dell’uva“.
Alla base delle proteste è la situazione che si è venuta a creare con la svalutazione di quasi del 100% del rublo russo a partire dal marzo 2014, dopo l’annessione della Crimea. Il collegamento tra la svalutazione della valuta russa e i contadini del Kakheti è presto detto. Dal 2013, con la riapertura del mercato russo, dopo un bando che durava dal 2006, le esportazioni totali di vino georgiano sono aumentate di circa il 400%. L’aumento delle esportazioni ha portato al raddoppio della produzione di uva, da 144,000 tonnellate nel 2012 alle 290000 attese per il 2015. Con l’aumento della produzione si è anche alzato il prezzo dell’uva pagato dai produttori di vino ai coltivatori, che nel 2014 ha raggiunto il picco di 0,72 euro al chilo. Tuttavia, con la svalutazione nel corso dell’ultimo anno, è diventato sconveniente mantenere invariato il costo in rubli del vino; posta l’impossibilità di alzarne il prezzo a causa della concorrenza dei vini russi (tra i quali quelli della Crimea), le ditte produttrici hanno preferito immagazzinare il vino, piuttosto che venderlo al ribasso.
Ad aggravare la situazione, è stata la complementare svalutazione della hrivna ucraino e del tenge kazako, che rappresentano gli altri principali mercati di esportazione del vino georgiano. Di conseguenza, con l’avvicinarsi della vendemmia di quest’anno, i produttori di vino, avendo abbassato i propri profitti, hanno offerto di media solo 0,30 euro al chilo ai coltivatori d’uva. Le manifestazioni dei contadini avevano, quindi, sia lo scopo di protestare contro il prezzo proposto dai produttori di vino e sia di chiedere un aumento delle sovvenzioni statali.
Con le elezioni parlamentari che si avvicinano (primavera 2016), il governo non ha potuto ignorare le richieste dei manifestanti. Tuttavia, secondo le parole del primo ministro Irakli Garibashvili e del ministro dell’agricoltura Otar Danelia, la carenza di risorse impedirebbe di aumentare le sovvenzioni, già esistenti, senza tagliare i fondi destinati alle pensioni o agli stipendi degli insegnanti.
In periodo di campagna elettorale, le difficoltà del governo non potevano non essere sfruttate dal principale partito di opposizione, il Movimento Nazionale Unito, del’ex premier Mikheil Saakashvili, i cui rappresentanti hanno accusato il governo di non mantenere le promesse fatte ai contadini.
Nonostante nel frattempo le acque si siano calmate, la situazione venutasi a creare ha mostrato una dipendenza eccessiva delle esportazioni di vino all’instabile mercato dei paesi dell’ex Unione Sovietica e a quello russo in particolare. Per quanto la fama dei vini georgiani nei paesi dell’ex blocco sovietico li rendano dei mercati di facile accesso, il governo non può permettersi di ignorare i rischi per un settore chiave dell’economia.
Posto che le aziende vinicole sono troppo piccole per pubblicizzare il vino all’estero e tendono, naturalmente, a vendere dove il prodotto è conosciuto e i guadagni sono certi, deve essere lo stato ad incaricarsi di fare una promozione volta alla diversificazione dei mercati d’esportazione. Un occhio di riguardo, in particolare, dovrebbe essere dato alla Cina, dove, di recente, undici vini georgiani hanno ricevuto dei riconoscimenti per la loro qualità.
Foto: Winestyle.ru