CROAZIA: I rifugiati nel collo di bottiglia dei Balcani

Come temuto, è stato un weekend di sole, pioggia e paura per i profughi siriani, davanti ai quali si è chiusa la strada della rotta balcanica. Dopo l’inaugurazione del muro di filo spinato al confine serbo-ungherese e l’entrata in vigore di leggi draconiane nel paese magiaro (denunciate anche dall’UNHCR come “contrarie al diritto internazionale ed europeo”), il flusso di persone in fuga si è spostato a occidente. E il fallimento dei governi europei nell’accordarsi su un approccio comune all’accoglienza dei profughi, lo scorso giovedì, ha fatto sì che si chiudessero loro in faccia i confini della Mitteleuropa.

Dal 16 settembre, sono ormai 30.000 i rifugiati e migranti che sono entrati nell’Unione europea attraverso il confine della Croazia, principalmente dal punto frontiera di Tovarnik. Le prime centinaia di profughi sono state trasferite via treno verso i centri d’accoglienza attorno a Zagabria, e da lì hanno proseguito con altri mezzi fino alla frontiera slovena, dove circa 700 persone restano in attesa di poter entrare nello spazio Schengen. La stazione di Tovarnik si è tuttavia presto sovraffollata, e treni e bus non si sono dimostrati sufficienti per facilitare il deflusso delle persone in transito, mentre le capacità di accoglienza del paese sono andate presto saturandosi.

Il governo di Zagabria si è allora risolto a facilitare il transito diretto dei profughi, inviandoli via treno verso l’Ungheria, da dove potessero proseguire verso l’Austria, di fatto aiutandoli ad aggirare la barriera di Orban. Il governo di Budapest non l’ha presa bene: nella notte un treno di profughi è stato fermato dopo aver passato il confine ungherese, e i quaranta poliziotti croati a bordo sono stati disarmati e rispediti a piedi oltre il confine croato. Il consigliere politico di Orban, Antal Rogan, ne ha approfittato per minacciare che l’Ungheria avrebbe posto il veto al futuro ingresso di Zagabria nel club di Schengen, poiché il paese “evidentemente non è pronto”, e che Budapest è pronta ad estendere la propria barriera anche ai confini di Romania e Croazia – non esattamente una reazione in linea con il principio di “sincera cooperazione” sancito dall‘art.4(3) del Trattato UE. Ciononostante, dietro rassicurazioni diplomatiche di Vienna, altri treni e bus hanno potuto continuare il proprio viaggio attraverso l’Ungheria e arrivare direttamente in territorio austriaco. Più di dieci treni speciali, durante il weekend, hanno portato i profughi dalla Croazia al paese magiaro e da lì verso Vienna. La capacità di trasporto è rimasta comunque ben al di sotto delle esigenze, con scene di “assalto alla diligenza” per salire sui treni speciali, e famiglie rimaste separate nella calca.

Alla fine il governo di Zagabria si è risolto a soluzioni d’emergenza per aumentare le proprie capacità d’accoglienza e rispondere alle esigenze umanitarie delle centinaia di persone intrappolate tra le sue frontiere e inzuppate dalle prima piogge autunnali nella regione danubiana. La Croazia ha messo in piedi una nuova tendopoli “provvisoria” a Opatovac, nei pressi del confine serbo, dove secondo le intenzioni del ministro degli interni i profughi dovrebbero trascorrere massimo uno o due giorni, prima di essere redirezionati verso l’Ungheria e da lì proseguire verso Vienna e Monaco.

Nonostante il rischio presente già da varie settimane di un redirezionamento del flusso, la Croazia si è ritrovata fondamentalmente impreparata ad affrontare in maniera efficiente un influsso rapido e sostanziale di persone in cerca di protezione internazionale. Non ha aiutato, in questo, il gioco delle parti politico: tra il primo ministro, il socialdemocratico Zoran Milanovic, che ha voluto proiettare il volto di una Croazia accogliente ed europea; il suo ministro degli interni Ranko Ostoijc, più preoccupato degli aspetti pratici dell’accogliente; e la presidente conservatrice Kolinda Grabar Kitarovic, scettica sulla risposta del governo alla questione dei profughi, anche in vista delle venture elezioni politiche di ottobre dove il suo partito HDZ è in vantaggio sul centrosinistra al governo.

Né ha giovato a Zagabria la mancanza di accordo e coordinamento con i paesi vicini, e soprattutto con la Slovenia che le sta a monte. Il premier sloveno Miro Cerar aveva inizialmente ipotizzato l’apertura di “corridoi umanitari” per i profughi verso Austria e Germania, ma a seguito del nulla di fatto al Consiglio UE sul meccanismo di quote di redistribuzione dei rifugiati tra i paesi UE entrambi i paesi hanno reistituito i controlli ai confini. In alcuni casi, i profughi sono stati respinti alla frontiera slovena anche con lo spray al peperoncino. Una posizione di chiusura, tuttavia, che Lubiana non potrà tenere a lungo. Come scriveva il quotidiano Dnevnik giovedì, “nessuno si chiederà se di fronte alla più grande crisi umanitaria dopo la Seconda guerra mondiale, la Slovenia avrà rispettato le regole di Schengen e di Dublino (…) Ci si chiederà se la Slovenia ha tutelato le persone.”

Alla fine i capi di governo di Zagabria e Lubiana sembrano essersi accordati per una posizione politica comune da tenere ai prossimi incontri europei: già martedì pomeriggio infatti si terrà a Bruxelles la riunione dei ministri degli interni, e quella dei primi ministri mercoledì 23. L’intesa per far fronte all’accoglienza dei profughi sembra vicina, anche se – come riportato da Paolo Zatterin – le proposte più sostanziali della Commissione europea sono state annacquate pur di raggiungere un punto d’accordo con i paesi d’Europa centrale più riottosi (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, ma anche la Polonia, il cui ministro degli esteri continua a chiedere di sigillare i confini). La redistribuzione dei richiedenti asilo dai paesi con i più alti tassi d’accoglienza (siriani, afghani, eritrei) dovrebbe avvenire, se pur solo su base volontaria, mentre l’Ungheria rinuncia ad essere considerata paese di “prima linea” per non dover attrezzare centri d’accoglienza europei nei suoi confini: i famosi hotspot saranno quindi prerogativa di Italia e Grecia. Ma per averne conferma bisognerà aspettare le conclusioni del Consiglio UE di mercoledì. Nel frattempo, alle frontiere lungo il Danubio, chi fugge dalle barrel bomb di Assad e dalle brutalità del’ISIS continua a dormire all’addiaccio ai confini della nostra inconsapevole Europa.

Foto: La gioia di un padre siriano nel ritrovare la figlia, perduta tra la folla alla stazione di Tovarnik. Principia Marsupia, Twitter

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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