Si torna a morire in piazza a Kiev. Finora si contano due vittime e centinaia di feriti durante gli scontri tra polizia e militanti di Svoboda, partito di estrema destra, avvenuti davanti al palazzo del Parlamento. Dopo i fatti di Maidan, e l’avvento del nuovo regime, è la prima volta che torna a correre il sangue. E non va dimenticato il ruolo che anche Svoboda ebbe durante la “rivoluzione” di Maidan. A scatenare la protesta è stata la legge sulla decentralizzazione amministrativa del paese vista dai nazionalisti come una resa a Putin.
La sessione straordinaria del Parlamento ucraino, fissata per il 31 agosto, si è così aperta in un clima particolarmente teso. Il compito dei parlamentari era infatti quello di approvare in prima lettura il disegno di legge su alcuni emendamenti alla costituzione volti ad introdurre nuove basi per il rapporto tra centro e periferia. La decentralizzazione, questa la parola d’ordine degli accordi di Minsk, comporta una serie di significative modifiche alla struttura amministrativo-territoriale dello stato e una riorganizzazione dei poteri regionali.
Ma quello della riforma costituzionale è un tema delicato non solo a causa degli effetti sulla struttura amministrativa del paese, ma anche per l’uso strumentale che ne è stato fatto nell’ultimo anno e mezzo. Per molti, infatti, decentralizzazione corrisponde a federalizzazione, tema avanzato dal Cremlino sin dall’inizio della crisi ucraina. Non sorprende in effetti che qualche centinaio di manifestanti, apparentemente ben organizzati, con cartelloni e bandiere di “Svoboda” si siano riuniti sotto il parlamento per protestare contro una legge che viene vista da alcuni come la “realizzazione dei piani di Putin” (cosi recitavano alcuni striscioni esposti).
Nonostante l’annuncio di voto contrario di Samopomich, Partito Radicale e Patria, i tre partiti minoritari della coalizione di governo, la maggioranza guidata dal Blocco di Petro Poroshenko e dal Fronte Popolare del premier Yatsenyuk è riuscita a raccogliere 265 voti, sufficienti per approvare il decreto in prima lettura. Stampella per il presidente e il primo ministro è stato il Blocco d’Opposizione che ha votato a favore della decentralizzazione considerandolo, secondo le parole di Oleksandr Vilkul, un primo, seppur imperfetto, “passo verso la pace” nel paese. Quella del 31 agosto è però solo un’anticipazione della battaglia che si preannuncia per la seconda lettura della legge che si terra probabilmente dopo le elezioni amministrative del 25 ottobre prossimo.
Come cambia l’assetto amministrativo del paese
Secondo le modifiche all’articolo 132 della Costituzione, la struttura amministrativo-territoriale del paese “si basa sui principi dell’unità e integrità del territorio nazionale” e della “decentralizzazione del potere”, tenendo in considerazione “le caratteristiche storiche, economiche, ecologiche, geografiche e demografiche – nonché le tradizioni etniche e culturali” delle singole unità amministrative. I cambiamenti più significativi riguardano l’organizzazione dell’amministrazione territoriale del paese.
L’emendamento all’articolo 133 prevede, infatti, l’abolizione degli odierni organi di governo locale, costituiti dalla Repubblica autonoma di Crimea, dalle oblast’, dai distretti amministrativi (rajon) subordinati alle oblast’, dalle città, e dai distretti cittadine e villaggi. Al loro posto dovrà nascere una struttura più snella costituita dalla comunità (gromada), dal distretto e dalla regione. In questo nuovo assetto la cosiddetta comunità rappresenterà l’unità primaria del nuovo sistema amministrativo e avrà un proprio consiglio locale eletto. L’insieme delle comunità formeranno un distretto e quest’ultimi una regione.
Il controllo dei prefetti sulle nuove entità locali
In questo nuovo assetto l’autorità del potere esecutivo a livello locale sarà esercitata dal prefetto. Il compito di nominare il prefetto spetta, su indicazione del Consiglio dei Ministri, al Presidente. Secondo l’emendamento all’articolo 119 il prefetto sarà il “garante della Costituzione e delle leggi nazionali” a livello periferico e svolgerà un ruolo di supervisione sulle nuove strutture di governo locale. Tra i suoi compiti ci sarà anche quello piuttosto vago di “assicurare l’attuazione dei programmi statali”. Proprio questa nuova figura permetterà al potere centrale, secondo l’idea generale alla base delle modifiche costituzionali, di mantenere un certo livello di controllo sulle nascenti unità territoriali.
In questo caso il rischio, però, è rappresentato dalla possibile istituzionalizzazione di un doppio centro di potere a livello regionale. L’articolo prevede infatti che, nel caso in cui gli organi di governo delle unità amministrative regionali dovessero promuovere “atti apertamente in contrasto con la Costituzione” o che “minacciano la sovranità, l’unità territoriale o la sicurezza nazione”, il Presidente, tramite la figura del prefetto, deterrebbe la possibilità di bloccare tale “atto” e di sospendere temporaneamente i poteri del consiglio locale apponendo un commissario temporaneo. Solo in seguito all’obbligatorio pronunciamento della Corte Costituzionale sull’effettiva incostituzionalità dell’atto, il Presidente potrà infine sciogliere in via definitiva il Consiglio locale ed indire nuove elezioni.
Nessuna autonomia per il Donbass
Il vero punto focale della legge approvata in prima lettura dalla Verkhovna Rada è rappresentato dalle disposizioni inerenti ai territori che non rientrano sotto l’effettivo controllo del governo. Se la Crimea e Sebastopoli rimangono ufficialmente unità amministrative autonome e parte dello Stato ucraino, resta poco chiaro lo status delle regioni di Donetsk e Lugansk. Secondo il documento, infatti, la “specificità dell’auto-governo locale in alcune aree delle regioni di Donetsk e Lugansk è definito da una legge separata“.
La legge sulle “aree di autogoverno speciale” firmata dal Presidente il 16 ottobre 2014, però, pur esistente da quasi un anno, è rimasta fin’ora lettera morta. Inoltre, il suo carattere temporaneo, di soli tre anni, lascia parecchi dubbi sull’effettivo futuro assetto del paese. Da questo punto di vista gli emendamenti alla costituzione non sembrano modificare realmente lo status dei territori sotto il controllo dei ribelli, ma prolungare l’indeterminatezza, rimandando ai prossimi mesi la legislazione inerente allo status legale del Donbass. Non si parla quindi di autonomia o di status speciale, come aveva tenuto a precisare lo stesso Poroshenko durante la presentazione della prima proposta di legge lo scorso luglio.
Gli scontri davanti alla Rada
La giornata del voto non sarà ricordata, però, per le disposizioni della legge votata in parlamento. A riempire le cronache e a gettare una luce sinistra sulla stabilità del paese in previsione dei futuri appuntamenti politici autunnali sono stati gli scontri tra alcuni gruppi di estremisti e la guardia nazionale. Il conto è ormai salito a due morti e cento feriti tra le forze dell’ordine. Petro Poroshenko nel suo discorso alla nazione ha definito l’episodio come “una pugnalata alle spalle” e come un’azione dal carattere “anti-ucraino”, difendendo il lavoro del parlamento, mentre il Ministro degli Interni ha promesso il pugno duro contro gli estremisti.
Non c’è dubbio che al di là degli arresti dei colpevoli, gli eventi andati in scena sotto il parlamento avranno importanti conseguenze sui rapporti tra il governo e le frange più estreme dei gruppi politici come Svoboda e Praviy Sektor. L’apertura del cosiddetto fronte interno non potrà che minare ulteriormente la stabilità del potere e rallentarne con ogni probabilità il difficile percorso sulla via delle necessarie riforme.
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