Immigrati alla stazione Keleti

UNGHERIA: Il problema dei profughi e le risposte della società

Gli ultimi mesi il tema dell’immigrazione e dei richiedenti asilo ha acquistato una forte valenza politica, divenendo uno degli argomenti più dibattuti a livello pubblico. La pressione che si è verificata nei confronti di alcuni paesi, sebbene non sia per ora insostenibile, ha causato numerose frizioni all’interno della UE, evidenziando come i dettami di solidarietà fra gli Stati siano vaghi principi piuttosto che basi fondanti dell’Unione.

I numeri

L’Ungheria è sicuramente uno dei paesi più coinvolti nei flussi migratori. Secondo gli ultimi dati europei disponibili fra il primo Q-2014 ed il primo Q-2015 c’è stato un aumento del 1.127% (!) delle richieste di asilo. Un dato impressionante che non ha eguali negli altri paesi; a seguire c’è il Portogallo a più 190%. Nei primi tre mesi del 2015 l’Ungheria ha ricevuto 33.550 richieste di asilo, più del doppio di Francia e Italia. La Germania, primo paese per richieste, ne ha ricevute 83.130. Ora, considerando la differente grandezza, popolazione e PIL di questi paesi, risulta evidente che il flusso di richiedenti asilo sia un problema di più difficile gestione nel paese danubiano. Qual’è stata la risposta del governo e della società civile a questo problema in Ungheria?

La risposta del governo

Orbán Viktor, già in diverse occasioni messo alla berlina nell’UE, non ha aspettato molto per trovare le proprie soluzioni: la costruzione del muro (che in realtà è una recinzione) al confine meridionale con la Serbia e l’avvio di una campagna mediatica contro l’immigrazione.

La costruzione della recinzione è stata l’azione con le maggiori conseguenze internazionali, con pesanti critiche da paesi e associazioni. Anche la Serbia non si è mostrata particolarmente compiaciuta, ma ha fatto buon viso a cattiva sorte, preferendo mantenere i buoni rapporti con il governo magiaro. Era infatti proprio quel tratto di confine il luogo da cui passavano la maggior parte dei migranti. Migranti che per arrivare in Ungheria dovevano per forza essere già transitati attraverso altri paesi UE (Grecia o Bulgaria), accusa rivolta con forza da Budapest alle istituzioni europee. La recinzione non potrà certo risolvere il problema, anche se verosimilmente ne diminuirà il flusso. Il punto cruciale è però un altro: può l’Europa trincerarsi dietro delle reti? Che fine hanno fatto gli ideali europei?

D’altronde, la stessa Ungheria diverse volte nella sua storia ha prodotto ondate di profughi. L’ultima nel 1956, quando più di 200.000 persone lasciarono il paese attraversando il confine austriaco, lasciato aperto da Vienna. La costruzione della recinzione è stata seguita a livello internazionale dalle, ormai solite, accuse di fascismo nei confronti del governo Orbán. In questo caso però bisognerebbe ricordare che fortificazioni ai confini della UE esistono anche in altri paesi: si pensi alla recinzione fra Bulgaria e Turchia, o in Spagna a Ceuta.

La campagna mediatica anti-immigrazione rappresenta invece un ulteriore scivolone nella strategia comunicativa di Orbán, dopo le dichiarazioni sulla pena di morte e il tentativo di imporre una tassa su internet. La campagna lanciata attraverso una serie di manifesti ha portato a una consultazione su “immigrazione e terrorismo”. Sui manifesti compaiono slogan quali: “Se vieni in Ungheria devi rispettare la legge”, “Se vieni in Ungheria non puoi portare via il lavoro agli ungheresi”, “Se vieni in Ungheria devi rispettare la nostra cultura”. Slogan scritti in ungherese, rivolti quindi non ai migranti, e con il chiaro scopo di creare facile consenso, specialmente fra quei settori della società ungherese che sentono più fortemente le difficoltà economiche.

La risposta degli ungheresi

La politica seguita dal governo ha creato una profonda spaccatura nella società ungherese. Un’ampia parte di cittadini, molti che lavorano ho hanno lavorato all’estero, si sono sentiti offesi dalle parole di Orbán. Numerose associazioni religiose e della società civile si sono mobilitate, ma non solo, azioni di solidarietà hanno coinvolto singoli cittadini che hanno portato cibo ed aiuto ai profughi. A luglio circa 2.000 persone hanno partecipato a una manifestazione contro la politica anti-immigrazione del governo.

La sfida più grande rimane la campagna “anti-anti-immigrazione” lanciata dal Partito del cane ungherese a due code, MKKP (di cui avevamo già parlato qui). Il leader Gergely Kovács ha accusato Orbán di spendere soldi pubblici (ben 330 milioni di fiorini) per una campagna inutile che incita all’odio: “Il governo dovrebbe fare campagna per la solidarietà sociale e non contro gli immigrati”. Così l’MKKP ha lanciato una contro-campagna che ha avuto un enorme successo. In due settimane sono stati raccolti 33 milioni di fiorini, grazie a 7.000 donatori, che hanno permesso di affiggere quasi 1.000 cartelloni (alcuni si possono vedere in questa galleria). L’intento di MKKP è quello di far riflettere i cittadini su tematiche importanti e nello stesso tempo accusare la classe politica ungherese che, secondo Kovács, “continua a rubare indifferentemente dal colore politico” (nb: il governo per lo stesso numero di cartelloni ha speso 10 volte tanto).

Numerosi ungheresi però vedono con crescente preoccupazione l’arrivo dei migranti. Orbán ha dichiarato che nei prossimi anni milioni di persone dall’Africa cercheranno di raggiungere l’Europa, mettendo così a serio rischio l’identità culturale e lo sviluppo economico del continente. Parallelamente la destra radicale dello Jobbik chiede misure ancora più drastiche e accusa gli USA di essere i responsabili della situazione, nonché di volere destabilizzare l’Europa. In questa situazione la diffusione della paura e del sospetto nei confronti del “diverso” trova facile diffusione, come i recenti dati sull’aumento delle vendite delle pistole a gas, +50% negli ultimi due mesi nella città di Szeged vicino al confine con la Serbia.

Conclusioni

L’Ungheria è stato uno dei paesi più colpito dai flussi migratori, il tema è quindi fondamentale per il governo di Budapest. Orbán fin da subito ha scelto una linea polemica nei confronti della UE, arrivando a preannunciare la sospensione del trattato di Dublino, e prevedendo la chiusura dei confini. Misure drastiche ma dovute principalmente alla lentezza e all’inefficienza con la quale l’Unione affronta il problema. La campagna anti-immigrazione ha avuto importanti conseguenze: ha risvegliato la società civile e l’opposizione sociale al Fidesz, ma, e questo è il lato più pericoloso, ha anche rafforzato tendenze xenofobe in ampi settori della società. E’ questo forse il dato più preoccupante, le forti prese di posizione del governo contro gli immigrati rischiano una possibile escalation di episodi violenti da parte di cittadini istigati dalla propaganda governativa. Nelle ultime settimane si sono registrati alcuni casi di violenze ai danni di stranieri, casi isolati e sporadici, alcuni strumentalizzati, ma che non possono non destare preoccupazione.

Chi è Aron Coceancig

nato a Cormons-Krmin (GO) nel 1981. Nel 2014 ho conseguito all'Università di Modena e Reggio Emilia il Ph.D. in Storia dell'Europa orientale. In particolare mi interesso di minoranze e storia dell'Europa centrale. Collaboro con il Centro Studi Adria-Danubia e l'Istituto per gli incontri Culturali Mitteleuropei.

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