AZERBAIGIAN: Caccia alle streghe a Baku. Al via il processo-farsa contro Khadija Ismayilova

Se è vero che il sonno della ragione genera mostri, allora questa torrida estate a Baku si popola degli incubi più terribili. Delazioni, ingiurie, processi al limite del surreale si susseguono giorno dopo giorno nell’indifferenza più totale, e con la complicità di molti. Cadono nel vuoto, uno dopo l’altro, gli appelli delle organizzazioni internazionali e degli attivisti dei diritti umani, destando seri dubbi sull’efficacia di questi mezzi. Fra gli estimatori del regime, invece – che pure non mancano: pecunia non olet –, anche il premier Matteo Renzi, che ebbe a definirlo addirittura “modello di tolleranza” (così riporta la stampa azera) durante l’ultima visita del presidente Aliyev in Italia.

Sì, perché l’Azerbaigian è ricco di gas e petrolio, e quindi poco importa che vi siano quasi il doppio dei prigionieri politici di Russia e Bielorussia messe insieme. Si chiude un occhio, ma anche due, e il naso, la bocca, e infine persino la mente. Perché, a ben vedere, si tratta anche di una mancanza di strategia e intelligenza: con che faccia l’Italia e l’Europa denunciano i dittatori, grandi o piccoli che siano, in giro per il mondo, quando si affida a Baku la presidenza del Consiglio d’Europa, che ha per mandato la salvaguardia dei diritti umani? Con che coraggio si condanna il passaggio di potere di padre in figlio tentato da autocrati quali Gheddafi o Mubarak, o riuscito in Corea del Nord e in Siria, quando in Azerbaigian il potere è gestito da una sola famiglia, gli Aliyev, fin dal lontano 1993?

E così, ben consapevole di tali complicità e reticenze, in quest’estate calda – tempo dell’apatia per eccellenza – il regime sta dando il peggio di sé. Basta sfogliare le notizie degli ultimi giorni: una lettera al presidente Aliyev scritta da un folto gruppo di familiari (23 in totale) per denunciare e disconoscere il direttore esecutivo di Meydan TV, Emin Milli. Possibile, vi chiederete? Certo, ma non è tutto. In questi stessi giorni stanno avendo luogo processi contro alcuni dei più importanti critici del regime. E il clima ricorda in tutto e per tutto la caccia alle streghe dell’epoca del maccartismo, e a tratti persino le purghe staliniane. Solo che qui l’ideologia non centra. Il peccato – se di peccato si tratta – è quello di avere osato criticare il presidente Aliyev e la sua famiglia, padre e padrone della giovane repubblica dell’Azerbaigian. Di aver denunciato la corruzione e il malaffare che si nasconde dietro la facciata glamour di questo paese.

Così avviene anche nel più celebre di questi casi, quello che riguarda la giornalista investigativa Khadija Ismayilova, l’unico ad aver fatto breccia nei media internazionali, anche se non in Italia (e chiediamoci una buona volta il perché). Dopo mesi di prigionia, finalmente il 24 luglio è iniziato il processo che la vede protagonista. Rigorosamente a porte chiuse. Le accuse mosse contro di lei sono le più varie e fantasiose, dalla diffamazione all’evasione fiscale, dai traffici illegali fino all’abuso di potere. Non solo: è stata accusata addirittura di incitamento al suicidio nei confronti di un collega, anche se questi nel frattempo si è rimangiato il tutto. La giornalista, insignita di vari premi internazionali – fra cui, negli ultimi giorni, quello del National Press Club americano – si trova in carcere dal dicembre scorso.

Il processo, a quanto riportano i pochi testimoni, ha avuto luogo in uno spazio particolarmente angusto, di modo da permettere a un numero limitato di persone di accedervi. Sono rimasti fuori moltissimi giornalisti, attivisti, alcuni diplomatici e persino la sorella di Khadija Ismayilova, accorsa per seguire il processo. Il giudice si è opposto inoltre alla richiesta della difesa di filmare l’udienza. A rendere più tragicomica la scena, un lancio di pietre avvenuto contro alcuni giornalisti che si erano arrampicati sul muro di recinzione per fotografare il cortile interno dell’edificio. La giornalista, sempre a quanto riportano i testimoni, si è dimostrata forte e determinata a far valere le sue ragioni, ed ha accusato apertamente il presidente Aliyev per la sua incarcerazione. La prossima udienza è fissata per il 7 di agosto.

Chi è Simone Zoppellaro

Giornalista e ricercatore. Ha trascorso sei anni lavorando fra l’Iran e l’Armenia, con frequenti viaggi e soggiorni in altri paesi dell'area. Scrive di Caucaso e di Medio Oriente (ma anche di Germania, dove vive) su varie testate, dal Manifesto, alla Stampa, fino al Giornale, e ancora sulla rivista online della Treccani. Autore del volume 'Armenia oggi', edito da Guerini e Associati nel 2016. Collabora con l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccarda.

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