Come scrive Ivan Tsvetkov, professore alla Scuola di Relazioni Internazionali dell’Università di San Pietroburgo, l’attentato contro Charlie Hebdo non è stato un attacco terroristico nel senso più classico del termine. È sufficiente, in effetti, ritornare sulle immagini di quei tre giorni d’inizio gennaio: la scena appare più come un blitz, un’azione militare diretta unicamente contro la redazione del periodico satirico d’Oltralpe. Sprovvisto della crudele spettacolarità dell’11 settembre, l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo conserva, però, una forte carica simbolica: perché colpisce la libertà di stampa, un pilastro su cui si fonda l’idea stessa di democrazia. E perché le immagini provenienti dalla ville lumière, che per 72 ore si è trasformata in una città sotto assedio, hanno fatto il giro dei notiziari di tutto il pianeta.
La Russia e l’Islam
Era inevitabile che in Russia – calderone di etnie, nazionalità e confessioni religiose la cui storia recente è stata fortemente segnata (anche) dal fenomeno del terrorismo di matrice islamica – gli eventi di Parigi suscitassero reazioni contrastanti, dall’ovvio cordoglio dei vertici istituzionali sino alla condanna pronunciata da Ramzan Kadyrov contro “chi insulta la nostra religione”.
Così, mentre il nome di Sergej Lavrov figurava nella lista dei leader e alti dignitari presenti alla “marcia repubblicana” di Parigi, organizzata in ricordo delle vittime della strage, il presidente ceceno guidava una sorta di contro-manifestazione, “teleguidata” dal Cremlino, nella sua Groznyj (ne ha parlato la nostra Martina Napolitano in un articolo di qualche settimana fa). Questi due esempi almeno apparentemente opposti possono servirci da spunto per interrogarci sulle dinamiche di una relazione storicamente complessa, quella tra Russia e fede islamica.
Il ruolo dell’Islam nella costruzione dell’identità russa
Non esistono dati univoci circa il numero di musulmani in Russia e le varie estimazioni pubblicate nel corso degli anni non aiutano certo a far chiarezza: le cifre variano dai tre ai trenta milioni, come segnala Shireen Hunter, autrice di “Islam in Russia – The Politics of Identity and Security”. Il dato più realistico, secondo l’autrice, si attesterebbe invece intorno ai venti milioni, qualcosa come quasi il 14% della popolazione del paese. Dal punto di vista geografico esistono comunità di fede musulmana praticamente in tutto il territorio della federazione, anche se la maggior concentrazione si rileva nelle aree del Caucaso settentrionale e nella regione del Volga e degli Urali. Proprio queste regioni hanno rappresentato negli ultimi decenni un fattore di enorme rilevanza nel modo russo di percepire la fede islamica. La storia dell’Islam in Russia, però, ha radici certamente più antiche.
Samuel Huntington diceva che “sappiamo chi siamo solo quando sappiamo contro chi siamo”. Niente di particolarmente sorprendente: la definizione di un’identità nazionale è un processo che si realizza di frequente attraverso la distinzione tra “noi” e “loro”, in parallelo con la creazione di una rappresentazione negativa dell’Altro: si pensi, ad esempio, alla storia dei rapporti tra Russia e Occidente (se n’è parlato qui).
Un discorso simile può applicarsi al caso della fede islamica, la cui presenza in Russia ha probabilmente origine alla metà del VII secolo in Daghestan, anche se l’evento più rilevante è identificabile nell’invasione mongola che, verso la metà del XIII secolo, segnò la fine della Rus’ di Kiev. I mongoli erano un popolo pagano, ma la conversione all’Islam di Uzbek Khan, signore dell’Orda d’Oro, contribuì a creare il mito del “musulmano-invasore”. Parimenti, la conquista di Kazan e l’espansionismo russo modellarono, in seguito, una rappresentazione negativa dei russi nella memoria collettiva delle popolazioni musulmane della regione. Una storia di conquista, riconquista e resistenza che, nel corso del tempo, ha conosciuto la violenza delle campagne di repressione volute da Stalin e l’apertura del riformismo di Gorbačëv, che mirava ad aumentare il consenso attorno alla sua figura e a migliorare l’immagine della Russia sul piano internazionale.
La guerra in Cecenia e la percezione dell’Islam: coesistenza o minaccia?
Nel caso della Cecenia, le aspirazioni d’indipendenza – o, almeno, la rivendicazione di una maggiore autonomia in seguito al crollo dell’URSS – si tradussero in un conflitto aperto con l’autorità centrale di Mosca. La questione nazionale, osserva Hunter, si mescolò rapidamente alla questione religiosa. Gli attentati che colpirono Mosca e altre città russe nel 1999 o il massacro del teatro Dubrovka nell’ottobre 2002 o, ancora, gli attacchi precedenti ai giochi olimpici di Sochi hanno contribuito (e continuano) ad alimentare una percezione distorta e fortemente negativa della seconda religione del paese. Una percezione in cui l’elemento religioso si fonde alle posizioni più radicali e violente. Da questo punto di vista è quindi comprensibile la solidarietà alle vittime dell’attacco a Charlie Hebdo che, però, si accompagna alla convinzione – piuttosto diffusa nella popolazione – che la pubblicazione di vignette raffiguranti Maometto semplicemente non dovrebbe essere consentita.
Quasi a voler fare da contrappeso a tutto ciò, Putin ha spesso posto l’enfasi su di una presunta vicinanza tra la religione ortodossa e l’Islam, elogiando la virtù russa della coesistenza tra popolazioni di religione differente nello stesso paese. L’introduzione di una distinzione tra terrorismo e religione, in linea teorica assolutamente ragionevole, andrebbe però letta – secondo alcuni – come il tentativo di rinsaldare il vincolo tra il potere centrale e quella parte di popolazione che non rientra nel blocco etnico propriamente russo. L’immagine di Putin come “uomo forte” deriva anche dal modo in cui ha saputo gestire il conflitto in Cecenia e questi richiami all’unità della popolazione russa sembrano, in effetti, più orientati a produrre un effetto rally ‘round the flag che a combattere possibili forme d’islamofobia.
L’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo può aver forse risvegliato paure non troppo sopite, legate a una confusione tra fede, nazionalismo ed estremismo, ma è probabile che l’effetto sia piuttosto moderato su una popolazione che, tradizionalmente, concepisce la propria identità anche in contrapposizione all’Occidente. Alcuni sperano che il riemergere del terrorismo internazionale possa riavvicinare la Russia ai suoi interlocutori occidentali, come già successe nel post-11 settembre. D’altro canto, è vero che il contesto odierno è profondamente differente e molto dipenderà dall’evoluzione del conflitto in Ucraina orientale. Le premesse, però, non lasciano granché spazio all’ottimismo.