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UCRAINA: Tra Kiev e Mosca. L’ultima chance per l'Europa per una soluzione politica del conflitto

Gli ultimi giorni sono stati carichi di impegni diplomatici per le cancellerie europee, Kiev e Mosca che, in modo diverso, si sono mobilitati per evitare che l’escalation militare nel Donbass delle ultime settimane si trasformasse definitivamente in un conflitto aperto tra Ucraina e Russia con conseguenze deleterie per la stabilità europea.

Poroshenko, già alle prese con un crescente malumore tra le forze armate che si è manifestato con alcuni copertoni bruciati dai volontari del battaglione Aidar d’avanti all’amministrazione presidenziale, ha ricevuto a breve distanza il Segretario di Stato americano Kerry, il presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel. La posizione di Kiev continua ad essere titubante e piuttosto ambigua. Da una parte ha apertamente chiesto aiuto militare ai partner occidentali, Stati Uniti in primis, dall’altra lo stesso presidente ha continuato a sottolineare come una soluzione militare al conflitto sia impraticabile.

La visita di Kerry a Kiev

Con la progressiva avanzata dei separatisti e il fallimento dell’ultimo tentativo negoziale del gruppo di contatto a Minsk, la Casa Bianca sembra aver iniziato a valutare concretamente la possibilità di aumentare il proprio sostegno nei confronti di Kiev. Numerose personalità vicine al circolo presidenziale non escludono ora l’opzione di rifornire l’esercito ucraino con equipaggiamento militare pesante, artiglieria anticarro, armi e munizioni.

Proprio questo è stato uno dei punti principali discussi tra Petro Poroshenko e il Segretario di Stato, John Kerry, durante la sua recente visita in Ucraina. Anche questa volta il presidente ucraino ha “vinto” un ulteriore credito economico, ma la questione sulla fornitura di armi è stata rimandata, in attesa di ulteriori sviluppi.

Lo stesso Kerry, che non ha dimostrato grande entusiasmo all’annuncio della contemporanea missione diplomatica tra Kiev e Mosca di Angela Merkel e Francois Hollande, ha sottolineato come Washington stia valutando attentamente tutte le possibilità per una soluzione del conflitto. La “via diplomatica”, secondo il Segretario di Stato, rimane quella prediletta, ma per poter trovare una via d’uscita la Russia, definita come aggressore, si deve attenere agli accordi di Minsk e far sì che i ribelli ritirino unilateralmente “l’artiglieria pesante dalle zone di contatto”.

Intanto la NATO si rafforza a Est

Non aiuta a stemperare la crescente tensione tra Mosca e Washington l’annuncio da parte del segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, dell’imminente aumento delle Forze di Risposta Rapida della NATO (NATO Response Force), destinate a raggiungere un numero pari a 30 000 unità (dalle 13 000 attuali). Secondo i piani dell’Alleanza, presentati al summit dei Ministri della Difesa di Bruxelles, 6 battaglioni saranno dislocati lungo le frontiere orientali dell’Alleanza, in Bulgaria, Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia e Romania [come richiesto più volte da tali stessi paesi, ndr]. Philip Breedlove, Comandante Supremo delle potenze alleate in Europa, ha affermato durante la Conferenza per la Sicurezza di Monaco che l’Alleanza “non esclude la possibilità di fornire supporto militare” a Kiev, se l’arma delle sanzioni e della pressione diplomatica su Mosca dovesse fallire. Una preoccupante risposta muscolare a quella che Stoltenberg ha definito come la “continua violazione da parte della Russia delle norme internazionali” in sostegno dei separatisti.

La risposta del Cremlino non si è lasciata attendere. Aleksandr Grushko, l’ambasciatore russo presso la NATO, ha affermato che i nuovi sviluppi “creano trend negativi nelle politiche di sicurezza della NATO per il prossimo futuro che saranno molto difficili da superare” e che Mosca non potrà non prenderli in considerazione nella “pianificazione difensiva strategica”. Giovedi scorso, inoltre, Putin aveva firmato il decreto che richiama tutti i riservisti per l’addestramento. Una procedura usuale – l’ultima mobilitazione del genere risale allo scorso luglio – ma con un tempismo che appare ben calcolato.

Merkel e Hollande, di corsa a Kiev e Mosca

Berlino e Parigi hanno mantenuto, invece, una posizione molto più cauta. Angela Merkel, probabilmente conscia dei pericoli, sia per la compattezza politica dell’Unione sia per la reazione di Mosca, ha escluso piuttosto bruscamente la possibilità di un sostegno militare alle forze armate di Kiev, rinnovando l’esortazione per un approccio diplomatico al conflitto. Stessa posizione è emersa a Parigi e Londra. In una recente dichiarazione il portavoce del Ministero degli Esteri britannico ha sottolineato come il governo sia convinto che “non ci possa essere una soluzione militare alla crisi”, mentre Hollande si è dichiarato contrario ad un ingresso dell’Ucraina nelle strutture NATO.

Il nuovo livello di coinvolgimento USA e il possibile rafforzamento della NATO a est, gravido di pericolose conseguenze sull’evoluzione del conflitto militare e sulle possibili reazioni di Mosca, sembra aver agitato e non poco Berlino e Parigi. Angela Merkel e Francois Hollande hanno, infatti, organizzato una missione diplomatica dell’ultima ora senza consultare direttamente gli Stati Uniti, volando prima a Kiev e poi a Mosca.

Interessante notare come durante la visita nella capitale ucraina la cancelliera tedesca e il presidente francese non si siano incontrati ufficialmente con Kerry, regalando solo qualche foto e stretta di mano con Poroshenko. Anche se non è stato rilasciato nessun  comunicato ufficiale sulle questioni discusse, Valeriy Chaliy, vice capo dell’amministrazione presidenziale, ha sottolineato come materia di discussione sia stata la ricerca “dell’effettiva modalità di messa in atto degli accordi di Minsk accettabile da tutte le parti coinvolte.

Tra Kiev e Mosca, “l’occidente” si divide?

L’evidente riluttanza europea nell’aderire ad un approccio militare al conflitto sembra scontrarsi con una strategia (o tattica?) più aggressiva da parte di Washington, o almeno di una parte del Dipartimento di Stato. Come evidenziato dal portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, il presidente americano sta maturando la convinzione che sia necessario un nuovo approccio alla crisi dato che le sanzioni economiche non hanno portato al tipo di azione politica che gli Stati Uniti “avrebbero voluto dal regime di Putin”.

La possibilità, promossa qualche giorno fa dal premier ucraino Yatseniuk, di allargare il tavolo negoziale per comprendervi in un nuovo formato (formato di Kiev) anche Washington, sembra tramontare con la fulminea iniziativa di Parigi e Berlino, volta apparentemente ad anticipare le mosse della Casa Bianca e mitigare le conseguenze dell’approccio militare alla crisi ucraina. La reazione di Mosca al dibattito degli ultimi giorni è stata, in effetti, piuttosto chiara. Il portavoce del Ministero degli esteri, Aleksander Lukashevich, ha dichiarato che la prospettiva della fornitura di armi americane a Kiev rappresenta non solo “un’escalation nel conflitto ucraino”, ma anche una “minaccia diretta alla sicurezza della Federazione Russa”.

Come riportato da Obs (l’ex Le Nouvel Observateur), l’idea dell’incontro a Mosca è maturata a causa della convinzione di Parigi e Berlino che un diretto sostegno militare da parte di Washington e della NATO all’esercito ucraino rappresenterebbe una soluzione assolutamente controproducente e rischierebbe di innescare una nuova interminabile spirale del conflitto. Secondo un alto funzionario francese negli ultimi giorni si sarebbero intensificati i “contatti confidenzialitra Mosca, Parigi e Berlino (con l’arrivo nella capitale francese di un emissario di Putin) durante i quali il presidente russo pare aver convinto le controparti della sua disponibilità ad instaurare un concreto dialogo che abbia come base di partenza il protocollo di Minsk.

Un nuovo punto di partenza per Minsk 2.0?

L’incontro a Mosca, durato quasi cinque ore, non sembra aver prodotto risultati immediatamente tangibili, anche se le parti l’hanno definito come “costruttivo”. Come ci si poteva attendere, pochi dettagli sono emersi fin ora. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che dopo il meeting le parti continueranno a lavorare tenendosi in contatto per “preparare il testo per un documento congiunto sulla concreta implementazione degli accordi di Minsk”.

Sempre secondo Peskov tale documento dovrà essere redatto sulla “base delle proposte fatte dal presidente francese e dalla cancelliera tedesca” e comprendere le idee “avanzate da Vladimir Putin e da Petro Poroshenko”. Secondo quanto riportato dal New York Times, il presidente russo avrebbe proposto negli ultimi giorni (e probabilmente anche durante il meeting a Mosca) di ancorare gli accordi di Minsk all’attuale situazione sul campo, spostando di conseguenza la linea di demarcazione verso ovest.

Un altro punto sul tavolo sarebbe un certo livello di autonomia politica per le repubbliche separatiste. Anche se Kiev è ufficialmente non disposta a creare una Transnistria all’interno del proprio territorio, Poroshenko sembra altrettanto consapevole di non avere molte altre vie d’uscita. Il punto chiave per il congelamento del conflitto, anche se ancora sembra presto parlarne, potrebbe essere un accordo tra Ucraina e Russia su chi dovrà sostenere i costi per la ricostruzione del Donbass.

L’incontro di Mosca, infine, appare come l’ultimo tentativo dell’UE di risolvere la più grave crisi lungo i propri confini e di mantenere l’iniziativa politica nelle vicende europee. La pazienza di Washington sembra terminata e se la missione di Merkel e Hollande dovesse arenarsi o fallire completamente, con molta probabilità saranno gli Stati Uniti a prendere in mano la situazione, con conseguenze imprevedibili per l’unità e la stabilità dell’intero continente. Proprio in questo senso potrebbero essere interpretate le parole di Aleksander Danyluk, consigliere del Ministro della Difesa ucraino, che ha definito il viaggio diplomatico di Merkel e Hollande come un “tentativo di salvare l’UE e non l’Ucraina”.

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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7 commenti

  1. La dottrina Putin, già chiara negli anni passati è oggi disvelata completamente. Nessuna nazione ex sovietica, a parte le ormai perdute repubbliche baltiche, potrà avere la libertà di fare una politica autonoma. La chiave per capire dunque se sarà possibile una cessazione reale delle ostilità è vedere se Putin giudica conveniente per la Russia che la guerra finisca o meno. Se Putin riterrà che a lui convenga la continuazione della guerra, la guerra continuerà. Mi pare infatti una bella favoletta la supposta pretesa russa di modificare i confini. Se la Russia terminasse la guerra con l’annessione della Crimea, è degli Oblast di Lugansk e Donetsk trovandosi poi di fronte una Ucraina territorialmente ridotta, ma nazionalista e sulla via dell’adesione alla NATO, questa per la Russia sarebbe una catastrofe. E’ possibile che Mosca accetti l’ipotesi di una Ucraina non allineata come sperano le cancellerie europee continentali??? Non è detto che sia possibile. Perché è chiaro, e questo a Mosca lo sanno bene, che tale non allineamento sarebbe il congelamento di un processo di avvicinamento dell’Ucraina alla NATO e all’Europa. Un congelamento temporaneo, con dietro una possibile ripresa del processo. In sostanza, al di là delle pie illusioni di real politici e pacifisti nostrani, non è affatto detto che la Russia voglia la pace. Come la Russia tira avanti da lustri la situazione in Transnistria, altrettanto potrebbe fare in Ucraina. Soprattutto se fosse cosciente della effettiva incapacità di solidi aiuti militari esterni al piccolo e mal armato esercito ucraino. Oltre a questo è da valutare il fronte interno ucraino. Potrebbe Poroshenko mostrarsi troppo arrendevole con i russi?? Si avrebbe una reazione dei nazionalisti?? Cosa può effettivamente firmare Poroshenko?? La realtà e che ogni riflessione riporta sempre alle stanze del Cremlino di Mosca. Dove vogliono arrivare?? Solo in questo è la chiave della situazione. In ogni caso più la politica europea e americana saranno arrendevoli, più Putin si ingolosirà. Questa è una regola che vale per tutti i dittatori. Infine sarebbe il caso di presentarsi a Minsk con piglio deciso, facendo capire ai russi che la prosecuzione di questo scempio non sarebbe tollerata. Ammesso che Putin non prenda la cosa per un bluff. D’altro canto, l’ingolosito Hitler, nel lontano 1939, era convinto che la spartizione della Polonia concordata con Stalin non avrebbe portato in guerra Francia e Gran Bretagna……

    • Ottimo commento, ben poco da aggiungere. Che cosa abbia in testa Putin, forse solo il suo entourage lo sa. L’idea di portarsi a casa altri territori ma avere un’Ucraina, quella rimanente, ostile ai confini, non penso lo aggradi. Non ci resta che attendere. Certamente il fatto che in Russia non ci sia una vera e propria opposizione alle sue scelte,( il popolo russo è sostanzialmente narcotizzato dal nazionalismo che Putin diffonde attraverso i media, come se la sua battaglia coincida con quella del popolo russo, il che è tutto da dimostrare), non depone per una cessazione immediata delle ostilità. L’impressione è che si vada avanti con questo stillicidio, con l’Occidente che, giustamente, non vuole rinforzare militarmente l’esercito ucraino, ne scaturirebbe una strage di civili ancor più terribile di quella in corso, e la Russia che, per il momento, si accontenterebbe di continuare la destabilizzazione dell’Ucraina, mantenendo sempre attivo il fronte del Donbass, in attesa degli eventi. C’è poi l’incognita Poroshenko: che cosa vuol fare con un Paese sostanzialmente allo stremo?
      In ogni caso, occorre sempre ricordare che se si è giunti a tanto è anche responsabilità dell’accoppiata USA-UE che, come al solito, soprattutto nel caso della prima, sono entrate a gamba tesa in faccende che non riguardavano loro, in sostanza avviando la destabilizzazione dell’Ucraina, testimone che poi Putin ha preso senza perdere tempo.

      • “come se la sua battaglia coincida con quella del popolo russo”, meglio: come se la sua battaglia coincida con gli interessi del popolo russo.

  2. Nonostante le risate alle barzellette di Lavrov a Monaco, il doppiogiochista Putin procede imperturbabile: se qualcuno osa pensare di aiutare militarmente l’Ucraina, questo fatto sarà gravido di conseguenze drammatiche. Ovviamente le scampagnate dei militari russi “volontari” e il flusso ininterrotto per mesi di armi, munizioni, carburante, carri armati e semoventi, lanciamissili ecc. moderni e soprattutto non reperibili in Ucraina (vedi commento del Segretario Generale dell’OCSE, Lamberto Zannier, http://www.dw.de/zannier-new-weapons-seem-to-appear-all-the-time/a-18243395 ) questo è un modo per favorire la pace.
    Purtroppo dobbiamo convincerci che è finito il tempo degli sforzi UE di salvare la faccia a Putin, l’unico sforzo possibile è aiutarlo a rompersi l’osso del collo.

  3. Nel corso del fine settimana, dalla Russia in Ucraina sono giunti circa 1,5 mila militari russi e 300 unità di attrezzature militari, – ha detto il portavoce dell’ATO Andrij Lysenko. Egli ha sottolineato che la Federazione russa continua a trasferire camion con le armi in Ucraina.

  4. 10 febbraio i militanti hanno bombardato i quartieri residenziali di Kramators’k e l’aeroporto, sul quale si trovava il dipartimento centrale dell’ATO. A seguito del bombardamento sono morti 17 civili. Secondo i dati del dipartimento, la città è stata bombardata dai sistemi reattivi “Smerch”. Il pericolo dell’artiglieria russa permane per ogni punto situato ad una distanza di 120 km dal fronte – i russo lo possono bombardare in ogni istante.

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