da BUDAPEST – Il partito di Orbán vede una rapida emorragia di consensi. I sondaggi rilevano almeno 800mila elettori persi in un mese, quel novembre in cui sono impazzate le proteste contro la Internet Tax e le dimostrazioni contro la corruzione, di cui i piani alti sono stati accusati da oltreoceano. In quasi 5 anni di governo questo è il primo vacillamento della base elettorale del partito, eletto due volte con la maggioranza assoluta
I sondaggi
Popolarità in calo per il Fidesz di Viktor Orbán, con un meno 12% rilevato dai sondaggi di novembre (Medián e Ipsos), in cui si sono concentrate le proteste contro alcune delle ultime scelte governative. Per la formazione di centrodestra si tratta della prima perdita significativa di consenso da quando, nel 2010, si è insediata al governo con la maggioranza assoluta, confermata poi ad aprile di quest’anno. Secondo la rivelazione di Medián, effettuata tra il 13 e il 23 novembre scorsi, dal 38% degli elettori il partito è sceso al 26%, perdendone 900mila in un mese (800mila secondo Ipsos). Sembra che a raccogliere il treno perso da Orbán, tuttavia, non ci sia nessuno. Gli elettori mobili, infatti, hanno disperso le loro preferenze tra il partito socialista MSzP, che guadagna il 4% ( ma resta a un 12% troppo basso per competere con gli arancioni) e l’estrema destra di Jobbik, +1% al 14%. Il 5% di chi toglie la fiducia a Fidesz, in conclusione, resta indeciso.
Guardando alla popolarità dei singoli politici consensi verso il primo ministro sarebbero passati dal 46% al 32%, con una perdita di 16% che è al momento la maggiore mai realizzata dal leader conservatore da quando è in carica. Hanno perso il 10% anche altre figure significative della coalizione, tra cui János Lázár e Péter Szíjjártó, rispettivamente il capo della Fidesz e il ministro degli Esteri, le braccia della macchina Fidesz.
Uno specchio della realtà
Che ci fosse una perdita di consenso sembrava inevitabile, dopo alcune mosse dell’esecutivo tra le più eclatanti di questi cinque anni ricchi di sorprese, tra cui l’emendamento, poi annullato, alla legge sulle telecomunicazioni, interpretato e reso noto come Internet Tax. Ci si è messa poi la vicenda Ungheria-Usa, con i commenti negativi prima di Bill Clinton, poi dello stesso Obama e infine la stoccata di McCain e, soprattutto, con la revoca del permesso di viaggiare negli Stati Uniti verso alcuni cittadini, per sospetto di corruzione. Tra questi anche il capo della NÁV, l’autorità fiscale, una bella mina che ha riportato il popolo in piazza e dato fiato all’antipolitica. La rapidità di questo calo è il fatto che colpisce maggiormente, visto che in Ungheria nessun partito ha mai perso tanto in un periodo così breve, dal 1990 a oggi.
I segnali di questo declino stanno emergendo in queste settimane: prima lo stop della legge sulle telecomunicazioni a seguito delle proteste, poi il ritiro della proposta sul controllo delle urine su bambini, giornalisti e politici per contrastare l’uso di droghe. Ciononostante il treno Fidesz procede con la solita alacre caparbietà: adesso nel mirino c’è la grande distribuzione, accusata di dumping ai danni dei piccoli negozi e il Parlamento ha già passato la legge che dal 2018 farà tremare Tesco e gli altri “big” della grande distribuzione. Certo, resta la buona impressione che lascia Budapest, sempre più splendente, decorata per le feste forse come mai prima d’ora e tutta in rinnovo. L’apparenza, però, non può bastare e forse nemmeno i tagli alle bollette, l’ennesimo, annunciato da qualche settimana. Che il Natale 2014 di Fidesz sarebbe stato meno lieto della Pasqua, insomma, lo avranno immaginato anche gli stessi membri del partito, questo fa pensare che ci siano delle contromosse già in serbo per l’inizio del 2015.
Ovviamente dal massimo dei consensi non si può che scendere, qualcuno lo fa con eleganza, qualcun altro un po’ precipitosamente.
Sicuramente non è stato compreso e/o gradito da molti ungheresi in patria (e dalla emigrazione/lobby negli USA ) l’allontanamento dagli Stati Uniti, mentre le impennate anti-EU avevano solo sollevato qualche perplessità. L’avvicinamento, sia pure tattico, alla Russia di Putin non ha per niente giovato: una Russia e un presidente sempre più in difficoltà e sempre meno affidabili, ma proprio per questo, sempre più aggressivi e pericolosi, evidentemente spaventano molti e il risentimento antirusso tende a riemergere.