TUNISIA: Presidenziali, è sfida serrata fra Essebsi e Marzouki. Il paese fa i conti col passato

Sarà testa a testa fra Moncef Marzouki e Beji Caid Essebsi. Il primo turno delle elezioni presidenziali non ha visto nessuno dei 27 candidati superare la soglia del 50% dei voti, quindi si andrà al ballottaggio il 21 dicembre. L’identità degli sfidanti era stata ampiamente prevista. Da un lato il presidente uscente Marzouki, arrivato secondo, dall’altro Essebsi, il leader di Nidaa Tounis che aveva già trionfato alle politiche di fine ottobre. Ma il distacco fra i due è la vera novità di questa tornata. I sondaggi lo quantificavano in 15-20 punti percentuali, un’enormità. Invece è meno di 200mila voti: 33,5% contro 39,5%.

Chi ha votato Marzouki?

La prima chiave di lettura di queste elezioni è il risultato delle ultime legislative. A ottobre Nidaa aveva battuto Ennahdha, il partito di Rashid Ghannoushi che ha governato dopo la rivoluzione del gennaio 2011. Il distacco era di dieci punti, che valgono circa 300mila voti. Nidaa ha sostenuto in blocco il suo leader, Essebsi, nella corsa per il palazzo di Cartagine. Ennahdha invece ha – apparentemente – scelto di non scegliere, lasciando liberi i propri elettori e non presentando un suo candidato ufficiale alle presidenziali. Per quanto riguarda il Congresso per la Repubblica, il partito di Marzouki che è stato al governo con gli islamisti per due anni, è stato un vero tracollo, 4 seggi contro i 29 del 2011, solo 70mila voti raccolti.

Allora chi ha votato Marzouki? Con tutta probabilità Ennahdha. Il presidente uscente ha preso troppi voti, 1 milione e 100mila, per immaginare che il grosso del consenso non provenga dalle file degli islamisti. Ennahdha infatti porta in dote, nonostante la recente sconfitta, un bacino di circa 900mila elettori. Difficile che provengano da altre formazioni, dato che Nidaa ha calamitato i consensi che prima andavano ai partiti minori. E li ha mantenuti fra politiche e presidenziali: lo scarto è di sole 10mila schede.

La strategia di Ennahdha in un documento segreto

Se Marzouki ha preso così tanti voti dipende anche dalle trattative in corso per formare il nuovo esecutivo. Nidaa deve trovare una coalizione affidabile. Le strade sono due. Quella meno compromettente, cioè cucire insieme altri 3-4 partiti minori, col rischio di perdere pezzi durante i 5 anni di legislatura e di avere costantemente le mani legate. Oppure quella più pragmatica, un accordo con Ennahdha e quindi un compromesso per la stabilità, con buona pace di una campagna elettorale fondata sull’opposizione totale alle idee degli islamisti.

Ennahdha, dal canto suo, deve cercare di capitalizzare al massimo il risultato di ottobre. Per entrare al governo può usare proprio il grimaldello delle presidenziali. In pratica, un appoggio a Essebsi in cambio dei ministeri più ambiti e del controllo sull’operato dell’esecutivo. Per convincere Nidaa, però, bisogna prima spaventarla. In questo senso un appoggio a Marzouki al primo turno servirebbe appunto per dimostrare che senza i voti di Ennahdha si rischia grosso.

Questa strategia sembrerebbe confermata da una circolare interna della formazione islamista, riservata ai suoi deputati. È trapelata sulla stampa a pochi giorni dal voto e contiene un’indicazione chiara: ufficialmente il nostro appoggio non va a nessuno, ma ufficiosamente bisogna votare Marzouki al primo turno.

I conti con il passato

La Tunisia vive in questi mesi uno dei momenti più importanti dalla rivoluzione del 2011. Non tanto per la “transizione” al dopo Ben Ali o per la buona riuscita del “processo di democratizzazione” di politica e società civile. La sfida è rivolta più al passato che al futuro prossimo. Ma quale passato? L’era di Ben Ali, il regime, il predominio degli apparati di sicurezza e la repressione del dissenso? Oppure la ben più recente esperienza di Ennahdha al governo, i timori di un’islamizzazione coatta della società, l’erosione lenta dei diritti acquisiti negli anni a partire da quelli sanciti dal Codice dello Statuto della Persona del 1957?

Ciascuno dei due concorrenti al ballottaggio ha almeno due facce. Marzouki: il membro (poi presidente) della Lega tunisina per i diritti umani dal 1980, l’oppositore a Ben Ali imprigionato e messo a tacere per un decennio. Ma anche colui che si è “sporcato” sostenendo Ennahdha al governo, spartendo poltrone e tenendo per sé quella più prestigiosa. E poi Essebsi: tre volte ministro con Bourguiba, presidente del parlamento con Ben Ali, quindi legato a doppio filo con l’evoluzione del regime. Ma anche il politico che più di tutti ha affrontato Ennahdha, creando dal nulla un polo di opposizione che adesso vale il 40% dei voti.

Non basterà certo l’elezione del nuovo presidente perché la Tunisia faccia i conti col suo passato. Chi ha uno sguardo insieme più pessimista e più pragmatico legge nella fisionomia dell’astensione un segnale preoccupante. Lo fanno Oujedane Mejri e Afef Hagi, attiviste tunisine e autrici de “La rivolta dei dittatoriati”. In queste elezioni non hanno votato i giovani, scrivono su Nawaat. Quegli stessi giovani che 4 anni fa affollavano le strade senza paura per cacciare Ben Ali. Questi “dittatoriati” chiedevano tre cose: lo smantellamento dell’apparato di polizia, la cacciata del partito della propaganda e del clientelismo, lo smembramento della rete di corruzione che saccheggiava il paese. Secondo Mejri e Hagi, a 4 anni di distanza i giovani non vedono nessun cambiamento. Come se per loro il passato non passasse mai.

Foto: Sana Sbouai

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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