di Alessandro Mazzaro
Dopo l’attentato del 24 gennaio all’aeroporto Domodedovo di Mosca, che ha causato 35 morti e più di un centinaio di feriti, è ritornato prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica russa il “problema” Caucaso. Il ritrovamento dell’attentatore, un daghestano di 20 anni, è stata solo una conferma per chi aveva visto nell’attentato l’ennesimo tentativo destabilizzatore proveniente di matrice caucasica. L’attentato, che non è stato ancora rivendicato, è solo la punta dell’iceberg in una situazione estremamente delicata che rischia di provocare un’ulteriore escalation di violenza e repressione.
Mosca: cosa succede nel Caucaso?
Mosca sta evidentemente perdendo il suo controllo e la sua influenza sull’area. Lo testimonia la difficoltà nel bloccare le azioni violente nelle repubbliche caucasiche facenti parte della Federazione. Medvedev, precisamente un anno fa, creò il ‘Distretto Federale del Nord Caucaso’, un’ulteriore entità paragovernativa che facesse da tramite tra repubbliche e governo centrale. Un mezzo fallimento. La violenza nelle repubbliche caucasiche è cresciuta a dismisura, tenendo in ostaggio interi governi. Emblematico l’esempio dell’Inguscezia, il cui aeroporto non riesce ad ottenere lo status di ‘internazionale’ per via delle milizie illegali vaganti nei boschi del paese. Oppure come in Cabardino-Balcaria dove gli episodi di violenza e gli attentati sono cresciuti a di molto rispetto ai dati dell’anno precedente. Per non parlare di Daghestan e Cecenia. L’attentato rende maggiormente evidente la perdita del controllo sulla zona da parte del Cremlino. Il Caucaso sta sfuggendo di mano a Mosca. “Vedere che il numero dei kamikaze è quasi quadruplicato, per un regime che s’era presentato come difensore della sicurezza e dell’ordine, è sconsolante” ha scritto Sandro Viola su Repubblica, il quale pone una domanda fondamentale per comprendere : “Come si spiega che il Fsb, erede del Kgb, che passa per essere uno dei più vasti e potenti apparati di polizia del mondo, non sia riusciato a fronteggiare la furia del terrorismo caucasico nei dintorni del Cremlino?”1. Un regime, quindi, che perseguita gli oppositori politici ma non riesce a gestire aree così composite, lontane e forse incomprensibili.
Comprendere o reprimere?
La reazione, dunque, potrebbe essere repressiva, come già accaduto in tempi non sospetti. Ma ciò non farebbe altro che aizzare ulteriormente la popolazione contro quello che viene definito, nonostante il tanto tempo passato dalle guerre caucasiche, come il “colonizzatore” russo.
“Noi russi continuiamo a sentirci vittime di un odio che non cerchiamo di comprendere ma neghiamo ogni dignità morale alle popolazioni del Caucaso come ad altre minorante. La reazione alle ribellioni è solo e sempre una: sopraffare”. Queste parole di Viktor Erofeev, scritte nei momenti successivi all’attentato, fanno capire che la situazione è più complessa di come Mosca voglia farla apparire. Innanzitutto perché l’area caucasica ha delle criticità al suo interno che, in alcuni casi, renderebbero anche difficile un futuro unitario staccato dalla Russia. Successivamente perché il fondamentalismo islamico affonda le sue radici nel malcontento della popolazione, vittima dei problemi economici e finanziari delle repubbliche caucasiche, la cui disoccupazione, per fare un esempio, è il triplo rispetto alla media russa.
Proprio per questo Mosca sta cercando di favorire gli investimenti nella zona creando una sorta di paradiso fiscale, nel quale gli investitori non pagherebbero tasse, tranne l’Iva, per ben 10 anni. Questa l’idea di Putin per tenere a bada la situazione. Ma non si punta solo agli investimenti privati. Il Cremlino sembra stia stanziando cifre elevate riducendo altri capitoli di spesa del budget federale: 32 miliardi rubli più altri 42 alla repubblica dell’Inguscezia sono l’emblema di come Mosca stia provando a spegnere l’incendio caucasico riversando miliardi di rubli nelle casse delle repubbliche, al fine di renderle più ricche e quindi meno esposte ai problemi di cui sopra. Le strutture turistiche e sportive sono al primo posto nelle idee del governo federale, il quale prevede la costruzione (entro il 2020) di cinque stazioni sciistiche e alberghi per oltre 105mila turisti, che potranno godere 800 chilometri di piste. Colossi come Morgan Stanley, JPMorgan, Citi e Allianz che, in concerto con le autorità regionali e federali, potrebbero partecipare al programma di investimento nel progetto2.
Il futuro
Gli scenari a breve termine sono abbastanza prevedibili. Mosca sostituirà, come sta già facendo, gli elementi ritenuti poco affidabili, ultimo il ministro dell’interno della Cabardino-Balcaria, con altri ritenuti più adatti a ricoprire certe cariche. Il problema, però, non sta nei cambiamenti al vertice. L’area caucasica sta vivendo un periodo di insofferenza nei confronti del potere costituito. In molte repubbliche la polizia è vista come un insieme di corrotti e repressori senza scrupoli, ed è proprio in questi “vuoti” che si inserisce l’ideologia radicale (islamica), la quale fa proseliti raccogliendo il malcontento diffuso nei confronti delle autorità e del “colonizzatore” russo. La difficile situazione in cui versa tutto il Caucaso del nord è un test importante per Putin e Medvedev, che dovranno ponderare con attenzione le decisioni da prendere in quest’area. Trattare con il Caucaso russo alla pari potrebbe essere il punto da cui cominciare.
1 Fonte: La Repubblica, martedì 25 gennaio 2011
2 Fonte: Il Sole 24 ore
L’articolo si commenta da sé. La Russia ha perso il treno dai tempi della Rivoluzione d’Ottobre (vedi la tanto sbandierata amicizia tra i popoli di memoria sovietica), e continua a non capire nulla dei popoli che vorrebbe che facessero parte della grande Russia, anche se certo, è vero che in quelle zone sono litigiosi e tutti divisi in clan…anche questo è da sottolineare.