UCRAINA: Incontro tra Putin e Poroshenko, la via europea alla pace. O all'accomodamento

Un incontro positivo malgrado le divergenze

Il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo ucraino, Petro Poroshenko, si sono incontrati a Milano a margine del vertice ASEM (Asia-Europe meeting). Un incontro che, malgrado le “forti differenze di vedute, specialmente in merito alle cause della crisi ucraina” ottiene l’impegno da parte dei due leader nel “rafforzare il cessate il fuoco” nell’est del paese dove ancora si continua a sparare.

Il portavoce russo Dmitri Peskov ha dichiarato che, tra i leader presenti ai colloqui, resta chi “non vuole capire come stanno realmente le cose” ma che “le forti divergenze” non impediranno il “proseguimento dei colloqui”. E’ questa la terza volta che Putin e Poroshenko si incontrano ma la presenza di tutti i principali leader europei, da Cameron alla Merkel, da Hollande a Renzi, rimarca la necessità europea di trovare al più presto una via d’uscita al conflitto anche perché in ballo c’è la questione del gas. Questione che i russi hanno posto fin da subito facendo capire che la sicurezza energetica europea dipende anche dal buon esito delle trattative. 

Così, malgrado le posizioni di Washington restino votate al muro contro muro, i paesi europei cercano di fare buon viso a cattivo gioco, costretti come sono ad accettare – volenti o nolenti – le pressioni russe per la costituzione di un’Ucraina federale che consenta a Mosca di esercitare un controllo indiretto sulle province occupate. Anche il premier britannico Cameron ha rassicurato dicendo che “dalla Russia sono venute garanzie per l’integrità territoriale ucraina” malgrado le posizioni di Londra restino dure: “se i russi non ritirano le truppe e le armi pesanti dall’Ucraina le sanzioni nei confronti di Mosca devono rimanere”.

La questione della Crimea, non pervenuta

Già, perché le truppe russe in Ucraina ci sono, e non è un segreto per nessuno, e Londra – in prima linea nell’opporsi a Mosca – non dipende dal gas russo come invece Germania, Italia e Francia. Questo consente a Cameron di distinguere la propria politica estera avvicinandosi alle posizioni di Washington. Anche se, a onor del vero, i russi stanno ritirando le truppe dal confine ucraino dichiarando concluse le “esercitazioni militari” fin qui condotte. Così, al di là delle dichiarazioni del primo ministro italiano Renzi – che ha definito “molto positivo” l’incontro – i nodi restano aperti, a cominciare dalla Crimea di cui non si è nemmeno parlato.

La via alla pace è solo dell’Europa occidentale

Questo incontro stabilisce però due cose: la prima, i quattordici punti del protocollo di Minsk sono riconosciuti come il punto di partenza per future trattative; il secondo, i leader dell’Europa occidentale cercano una propria via alla pace, sganciandosi dalle posizioni americane e allontanandosi dalle richieste dei paesi dell’Europa orientale (baltici e Polonia in testa). Così se da un lato è rimarchevole questa volontà europea di fare da sé, dall’altro mostra la totale mancanza di unità d’intenti all’interno dell’Europa con i paesi dell’est che restano “soci di minoranza” del club.

I timori est europei nei confronti di una politica estera russa espansiva non sono mai stati presi realmente in considerazione né dall’UE né dai suoi “pezzi grossi” che hanno continuato a tutelare, anzitutto, se stessi dalla minaccia di un confronto aperto con la Russia. Da qui le sanzioni che, salvando la faccia, non colpivano realmente l’economia russa con il risultato paradossale di nuocere invece alle proprie. Da questi colloqui milanesi sembra emergere l’intenzione di cercare un accomodamento con Mosca ma non una reale soluzione che, una volta per tutte, stabilisca la qualità e la quantità dei rapporti tra Europa e Russia. Rapporti necessari che non possono basarsi su ambiguità né dall’una né dall’altra parte.

La dipendenza dal gas russo. Colpa più che necessità

Occorre infine sottolineare che l’attuale dipendenza europea dal gas russo è una precisa scelta delle élites europee che non hanno mai fatto nulla per diversificare, affossando anche l’unico progetto alternativo (quello del Nabucco) in nome di lucrosi accordi con Gazprom. Non a caso Putin si è fermato a salutare l’ex primo ministro Silvio Berlusconi, vero responsabile della dipendenza italiana dal gas russo, colui che strinse il patto d’acciaio tra ENI e Gazprom mettendo però a rischio la sicurezza energetica del paese.

Il protocollo di Minsk, un punto di partenza (scivoloso)

La cosa più importante che emerge dall’incontro milanese è l’attuazione del protocollo di Minsk che, il 5 settembre scorso, ha sancito l’inizio del cessate il fuoco tra Russia – pardon, tra i separatisti – e Ucraina. Tra i quattordici punti del protocollo c’è quello del controllo congiunto delle frontiere tra i due paesi da parte europea (che verrà fatto, probabilmente, con l’uso di droni francesi) e l’istituzione di nuovo assetto costituzionale in senso federale per l’Ucraina.

Quest’ultimo punto ha due facce: da un lato sancisce la possibilità di autogoverno per le province a maggioranza russofona che non dovranno così temere discriminazioni da parte di Kiev (discriminazioni che, al netto delle retoriche, non ci sono state da parte del nuovo governo); dall’altro consente alla Russia un controllo indiretto su quelle regioni, preludio di una possibile separazione futura. La scusa dell’autodeterminazione (usata con la Crimea, benché in modo del tutto illegale secondo le regole internazionali) non è utilizzabile oggi con il Donbass perché non esiste attualmente alcuna forma di autonomia della regione. E l’autonomia è una precondizione a qualsiasi richiesta (più o meno) legale di secessione o indipendenza.

L’autonomia del Donbass renderà quindi possibile una futura separazione, in caso la situazione tra Russia e Ucraina dovesse nuovamente precipitare. Infine l’assetto federale può essere realizzato in molti modi finanche consentendo un’ingerenza negli affari interni ucraini da parte di Mosca, come il modello bosniaco insegna.

Il futuro assetto costituzionale dell’Ucraina è importante non solo per i destini di quel paese ma anche perché stabilirà un precedente per Moldavia, Georgia, e – un giorno verrà il suo turno – Bielorussia. Senza contare quei paesi (come Lettonia, Estonia e Kazakhstan) dove sussistono importanti minoranze russe che possono essere usate – come in certa misura già avviene- quale cavallo di Troia per mutare gli equilibri politici a favore del Cremlino. Insomma, le sacrosante ragioni di buon vicinato e collaborazione con la Russia non devono abdicare al rifiuto del nazionalismo russo come arma di espansione, anche manu militari, ai danni di altri paesi sovrani.

Questi nodi restano aperti ma il buon esito delle trattative, che saranno evidentemente ancore lunghe, è reso possibile dagli interessi incrociati dell’Europa occidentale, della Russia e della nuova élite oligarchica ucraina che Poroshenko rappresenta. La pace è davvero a portata di mano. Ma per l’Europa potrebbe essere una vittoria di Pirro.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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6 commenti

  1. La dipendenza dal gas russo più che dipendenza colpa…c’è da dire che l’Italia e anche i paesi europei del sud hanno cercato di rendersi non dipendenti da paesi del nord africa quali Libia Algeria e Tunisia , non a caso vista la situazione politica instabile di quei paesi,(Libia in primis) e non è detto che altre instabilità politiche sopraggiungano.
    Quindi non mi sembra che scegliere un altro fornitore sia stato così sbagliato anche perché la nostra produzione è insufficiente .
    Personalmente direi che a Berlusconi si possano imputare molte altre colpe ma non certo quella di aver diversificato l’approvigionamento di gas evitando di essere strettamente dipendenti dai paesi del magreb.
    Cosa sarebbe successo all’Italia se avessimo avuto solo la Libia come fornitore di gas ?

  2. Mi sembra troppo presto per poter distinguere chi abbia vinto che cosa.
    Probabilmente prima bisognerebbe capire quali siano i veri interessi/scopi dei partecipanti. La questione del gas, per esempio. A Putin interessa che l’Ucraina paghi il suo debito, o il gas è un arma contro Kyiv e l’Europa? A Putin interessa il controllo dei due oblast, o tutta la questione degli ucraini russofoni è un pretesto per destabilizzare Kyiv? A Kyiv interessa prioritariamente riottenere il controllo di Donetsk e Luhansk e della Crimea o accelerare il processo di allontanamento da Mosca? Ovviamente a seconda delle risposte che diamo a queste questioni e i tentativi di leggere gli scopi degli altri partecipanti (singoli stati europei, EU e USA) tra un po’ riusciremo a capire chi ci sta guadagnando maggiormente.
    Sicuramente un fatto deve essere rilevato: Putin non è, finora, riuscito a dividere l’Ucraina dall’Europa e quando c’è da trattare, intorno al tavolo Poroshenko non è mai solo con Putin. Questo denota che la politica “muscolare” di Putin (ribadita anche recentemente : “We hope that our partners will realize the futility of attempts to blackmail Russia and remember what consequences discord between major nuclear powers could bring for strategic stability,”), per il momento, ha un impatto attenuato, anzi la Germania, che all’inizio della crisi era decisamente più fiolorussa, si è irrigidita e oggi come oggi è una delle meno accondiscendenti.

    • Le domande che ha posto non so se avremo risposte a breve o mai, ma io non credo che a Putin non interessi il Donbass ne tantomeno l’Ucraina , che voglia averne un controllo politico più o meno come in passto questo si, ma ormai è persa e il controllo lo hanno gli USA NATO e UE avere il Donbass pochi chilometri quadrati di terra non porta un granché, tanto più nella situazione attuale.
      La Crimea era una questione strategica ( base Marina ) e sicuramente di cuore per quello che rappresenta per la Russia e i russi .
      Il gas una volta pagato il debito se l’Ucraina riuscirà ad approvvigionar si in altra maniera non credo gli cambi molto.
      Il fatto di avere però possibili basi nato a pochi passi dal confine credo Putin lo voglia scongiurare quindi cercherà con ogni mezzo di evitarlo ovviamente diventasse paese Nato in tal caso non potrà usare l’arma militare altrimenti altrimenti scatterebbe l’articolo 5, e spererei che lo vogliano tutti evitare .
      Sicuramente quello che dice è vero Poroschenko è sempre assistito dai più importanti paesi EU alle varie riunioni e non è mai solo, questo vuol dire che è appoggiato al massimo inoltre la Germania e la Merkel, nonostante una opposizione interna, è sempre più anti russa di quanto lo fosse prima dello scoppio del conflitto.
      Sinceramente non ho ancora capito la Germania la sua strategia e la reale posizione che tiene in questo contenzioso.

  3. Se si vuol parlare di ingerenze negli affari interni degli Stati, si deve parlare degli USA. Dall’Alpe alle Piramidi dal Manzanarre al Reno, attraverso le varie Agenzie CIA, NSA, ONG mascherate non fanno altro che spiare (Merkel docet) organizzare Rivoluzioni colorate, Primavere arabe, in modo poi del tutto confuso e raffazzonato (guerra alla Siria attraverso l’ISIL)……Il regno della Massoneria internazionale

  4. Le uniche vere possibili diversificazioni sono il TAP e il Nabucco.
    Finche la Gazprom pretende di costruire il gasdotto, possedere gli impianti e essere l’unica a farci passare il suo gas, non potremo mai essere veramente “diversificati” per quel 30% che ancora importiamo dalla Russia. (che poi è una media europea che per singoli paesi può andare da zero all’80%…).
    Anzi la Gazprom (e il suo padrone) pretende di sindacare anche sulla destinazione finale del gas venduto (e già pagato) per cui ha punito quanti retrocedevano il gas all’Ucraina: mentalità da satrapo orientale o gangster politico.

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