STAN-Project: Moynaq, requiem per un lago

Mucche erranti in un paese di mare ricoperto di neve potrebbero sembrare elementi di una sognante scena felliniana. E’ questa è l’immagine che si ha arrivando a Moynaq, piccolo centro nella Repubblica del Karakalpakstan, Uzbekistan.  Il lago d’Aral – una volta il quarto più grande al mondo  – è scomparso, in conseguenza della pianificazione pluriennale sovietica per la produzione intensiva del cotone, spostando di 200 chilometri la sua costa e lasciando Moynaq, la città dei marinai, vedova del suo glorioso passato nell’industria del pesce.

Dagli anni ’70 Moynaq è divenuta la città dell’assenza: la percezione di un passato legato all’acqua e a un’economia e cultura del mare sono tangibili in ogni angolo della città, fino all’unico – quasi abbandonato – hotel sovietico che una volta ospitava funzionari, villeggianti e proletari ingaggiati nell’industria ittica. “Abito a Moynaq da sempre ma il mare non l’ho mai visto” afferma un ragazzo sulla quarantina, il gestore dell’hotel dove si respira ancora vento sovietico, con vetri rotti e solo qualche stanza in uso, in una vecchia costruzione mai ritoccata dall’epoca.

La regione del Karakalpakstan, un tempo fiore all’occhiello nell’industria ittica sovietica – fino ad essere contesa tra Uzbekistan e Kazakistan – è oggi vedova del suo lago salato, della sua tradizione della pesca datata oltre 2500 anni e della sua economia. Negli anni ’60, in piena guerra fredda e competizione con l’ovest, la testarda produzione del cotone richiese un drenaggio di acqua smisurato, prosciugando pian piano i maggiori affluenti del lago d’Aral, i fiumi Amu Darya e Syr Darya. Ai vertici sovietici si discuteva già del suo probabile essiccamento ma Grigory Voropaev, responsabile del piano di sfruttamento delle acque dei fiumi a scopo agricolo, dichiarò in una conferenza che il suo scopo era proprio quello di “far morire serenamente il lago d’Aral”. Considerato come “un errore della natura” il lago d’Aral venne quindi sacrificato in nome dello sviluppo agricolo previsto dai piani quinquennali.

Industrie ittiche abbandonate, insegne del pesce e colore turchese a decorare ogni vicolo annunciano uno dei più grandi disastri di sempre, sulla strada per il cimitero delle barche: una dozzina di pescherecci arrugginiti giace in quello che era una volta il lago, adesso profondo e vuoto, coperto di sale e sabbia. Un guardiano solitario controlla l’area, sotto il monumento che commemora il lago. Chiede una  sigaretta, posa immobile per una foto e continua a guardare in direzione del lago, che non c’è più.

La scomparsa del lago salato ha causato non pochi disagi economici generando nella regione un vero e proprio esodo.  “Non c’è lavoro qui” afferma un tassista improvvisato, mostrando il coraggio di restare nella zona oggi diventata tra le più povere del Centro Asia: la maggior parte della generazione in età lavorativa ha optato per l’emigrazione, lasciando a Moynaq solo bambini e anziani a soffrire le estreme conseguenze climatiche della scomparsa del lago (come inverni più freddi ed estati aride) ed i problemi ad essi legati – nell’ultima decade  è stata infatti registrata una fortissima incidenza di tubercolositumori alla gola, malattie respiratorie e renali.

Nonostante il disastro ambientale e la scoperta di importanti giacimenti estrattivi  nel sottosuolo del lago, la produzione del cotone è ancora la più importante attività economica del Karakalpakstan, coivolgendo anche Turkmenistan e Kazakistan. A tal fine è necessario costantemente un ingente ammontare di acqua e sembra improbabile che gli stati cessino il drenaggio dai fiumi, mitigando, in questo modo, il prosciugamento del lago oggi ridotto al 10% delle sue dimensioni originarie. Molti ricercatori hanno visitato l’area, cercando di risolvere il problema ma concludendo che, senza la volontà comune dei paesi che affacciano sul lago, nessuno può nulla singolarmente.

Se tutti i ricercatori fossero venuti con un secchio d’acqua, il problema sarebbe stato risolto” dicono i caracalpachi. L’obiettivo di restituire al terreno l’ancora dubbio lago/mare è oggi svanito insieme all’acqua. “Col nostro progetto cerchiamo di ripristinare il pH basico per fertilizzare il terreno e fare di Moynaq una città agricola” afferma un ricercatore giapponese in una spedizione sul campo.

La costa di Moynaq, dunque, è destina a rimanere solo un ricordo poetico, eternalizzato nei dipinti dei dissidenti russi raccolti al museo Savitski. Dato il suo isolamento dal potere centrale di Mosca, il Karakalpakstan fu scelto come rifugio per le opere di dissidenti dell’URSS altrimenti a rischio distruzione da parte del regime. Ne consegue che le più belle opere di avanguardia sovietica si trovino proprio qui, nell’estrema provincia di quel vasto ”impero”.

E proprio qui, accanto alla fuga dal potere si ritrovano gli effetti nefasti del sacrificio in nome di imperativi quali “progresso”, “piano”, “partito”. Moynaq sembra essere la dimostrazione lampante del concetto bulgakoviano del romanzo “Cuore di cane”, critica agli eccessi della scienza sovietica e  alla famigerata NEP (Nuova politica economica). E come in una favola, essa sarà menzionata come la città dei marinai che divenne, un giorno, un villaggio rurale.

http://mariotrave.viewbook.com/      http://giovannalarcinese.wordpress.com/  http://stanproject.tumblr.com/

Chi è Giovanna Larcinese

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3 commenti

  1. Emilio Bonaiti

    Articolo bello, struggente, ma la NEP, Nuova Politica Economica, non c’entra niente. Fu attuata a malincuore da Lenin dal 1921 al 1929 per mitigare l’asprezza dei principi comunisti, concedendo una certa liberta economica ai russi.

  2. Caro Emilio, le do ragione, intendevo per “nep” i piani quinquennali che si attuarono da stalin in poi e c’è una bella differenza di contenuto, di nome no: anche i quinquennali possono rispecchiare una nuova politica economica rispetto al passato! 🙂 ha ragione lei comunque, a ogni cosa il suo nome.

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