BOSNIA: Il soldato perfetto. Intervista a Vito Alfieri Fontana

(Q-Code) Karanovac è un mucchio di case, presso Petrovo, nella municipalità di Gračanica, in Republika Srpska (RS), l’entità che con la Federazione BiH compone la Bosnia-Erzegovina così come è stato deciso dagli accordi di Dayton del 1995.

Sejdo Š. stava raccogliendo rottami di ferro insieme al padre. I due sono entrati in un campo minato che, secondo quanto riportato dai media locali, sarebbe stato segnalato. Un attimo, un bagliore, una vita spezzata.

Il bambino è stato trasportato dallo zio nel Pronto Soccorso di Gračanica, dove è stata tentata una rianimazione, senza esito. Il padre è rimasto gravemente ferito. Quella di Sejdo è solo l’ultima, drammatica, storia di mine e vite spezzate.

Vito Alfieri Fontana è un’istituzione in materia. Ingegnere barese, prima di dedicare anni della sua vita a sminare, le mine le vendeva. L’azienda di famiglia, la Tecnovar, produceva mine e componenti di mine. Antiuomo e anticarro. E le vendeva. Fino a quando non ha deciso che di morte non si può vivere, in un percorso di partecipazione alla campagna per la messa al bando delle mine anti-uomo che lo vede nel 1997 a Oslo, come consulente impegnato a definire i punti più delicati del trattato di Ottawa, due anni dopo in Intersos a dirigere e coordinare progetti di sminamento nelle zone calde del mondo. Bosnia, Serbia, Kosovo.

Quale è adesso la situazione in Bosnia-Erzegovina?

Il 2,5% della superficie della Bosnia-Erzegovina si può ancora considerare, a vario titolo, interessata dal problema mine e/o ordigni inesplosi. Circa 200mila persone devono ancora convivere con un rischio incombente sulla loro vita. La situazione, comunque, è in costante miglioramento: lo sminamento va avanti così come viene tenuto alto il livello di informazione sul pericolo presso la popolazione.

Esiste un monitoraggio delle vittime?

In Bosnia-Erzegovina esiste un monitoraggio delle vittime gestito dal locale BHMAC (Bosnia Herzegovina Mine Action Centre). Secondo i dati ufficiali, dal 1992 fino ad oggi, le vittime sono state 8mila circa fra morti e feriti. Tra queste sono inclusi anche 150 sminatori.

Il numero delle vittime è andato scendendo anno dopo anno, ed ora si è stabilizzato su quindici-venti all’anno. Quello che è importante è che il numero di vittime inconsapevoli si è quasi azzerato: la quasi totalità degli incidenti sta riguardando persone consapevoli di entrare in un campo minato  o trascinate consapevolmente da altri , come nel caso del bambino morto recentemente. Se tutti si comportano in modo responsabile, il numero delle vittime di mine in Bosnia-Erzegovina si può realisticamente azzerare nel giro di un anno. Purtroppo i residuati bellici sono una fonte di guadagno per diverse persone e questo porta ad inoltrarsi in zone pericolose anche se correttamente segnalate e delimitate.

La cooperazione delle istituzioni locali è stata sufficiente? O non è una priorità?

La cooperazione delle istituzioni locali è sempre costante, ma limitata da una concezione molto burocratica delle proprie responsabilità, che spesso inficia l’efficacia degli interventi. Tanto per dirne una: gli insegnanti si rifiutano normalmente di tenere lezioni di educazione al rischio mine in quanto non vogliono prendersi la responsabilità in caso di incidenti, costringendo altre organizzazioni come le ONG a farlo. Un metodo all’italiana, direi.

La società civile in Bosnia-Erzegovina, ha mai tentato di costruire delle realtà che superassero gli steccati per lavorare congiuntamente al problema?

Il BHMAC e’ l’unica struttura operativa in Bosnia-Erzegovina assolutamente interetnica. D’altronde dove c’e’ lavoro, gli altri problemi passano in secondo piano.

Dal conflitto sono passati più di venti anni: e’ stato investito a sufficienza per sminare? Quanto del denaro della cooperazione internazionale è stato destinato a questo progetto?

Obiettivamente per la bonifica definitiva del territorio occorrerebbero 100 milioni di euro “seri” ed altrettanti ne sono stati stanziati in passato. Il problema dei donatori internazionali è il modo con il quale le autorità locali distribuiscono soldi e lavori in quanto molti se ne approfittano e molti fondi finiscono nelle tasche sbagliate, all’italiana insomma. Per questo motivo il flusso dei finanziamenti si è più che dimezzato in questi ultimi tre/quattro anni.

Quali sono i progetti ancora attivi? Di quanti ordigni potenziali si parla ancora?

I progetti attivi saranno una ventina e seguono un piano nazionale delle priorità di intervento definito dal BHMAC. Mancano ancora all’appello circa 100mila mine delle quali un 20% mantiene inalterata la pericolosità, mentre la restante parte si è lentamente neutralizzata da sola.

Le mine raccontano come le guerre non finiscono mai per davvero. Il lavoro negli anni in Bosnia, quale bilancio di relazioni umane le ha lasciato?

E’ vero, dove c’e’ una mina c’e’ ancora guerra,  ma dove le mine non ci sono più arriva la pace . Ogni volta che consegni un territorio ripulito da quella porcheria la gente è felice e questo te lo porti dentro.

L’incontro con la Bosnia-Erzegovina, il lavoro si sminamento. che bilancio si può trarre della esperienza personale in quel contesto?

Ho vissuto dodici anni cercando, scavando la cattiveria umana e credo che una cultura di pace sia l’unica speranza. La guerra l’hanno invocata i ricchi , l’hanno fatta i violenti , l’hanno sofferta i poveracci. Basta.

Chi è Chicco Elia

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