Diamo spazio ad una testimonianza sulla vita e cultura dei rom in Europa centrale, e sugli stereotipi che la circondano. Ce ne parla Emanuela Cardetta, interprete e traduttrice dallo slovacco, che ha passato un periodo di Servizio Volontario Europeo nel villaggio di Veľký Meder, nella Slovacchia meridionale. Buona lettura.
Nei 10 mesi passati in Slovacchia mi è capitato più volte di constatare che una delle tematiche più “calde” e controverse è la “questione rom”. Ho avuto la possibilità di affrontare questo tema con persone di diverso orientamento e formazione e mi sono resa conto che la questione è estremamente complessa e multisfaccettata e non è possibile trarre una conclusione netta.
Quello che è certo è che la convivenza non è sempre serena. Personalmente, ho l’impressione che le differenze sociali e culturali, che già da sole costituiscono un elemento di divisione, siano esacerbate da alcuni stereotipi radicati e spesso lontani dalla realtà. Ecco alcuni dei più frequenti: i rom non vogliono lavorare, fanno tanti figli solo per ricevere soldi dell’assistenza sociale, i bambini abbandonano la scuola e i genitori non fanno niente perché ci vadano, i rom rubano, ecc. Questa percezione stereotipata negativa però, convive con un’altra ben più positiva che associa alla comunità rom uno spiccato genio artistico, in particolare in campo musicale: cito ad esempio due gruppi musicali di origine orgogliosamente gitana, Cigánski diabli e Diabolské husle, che in Slovacchia hanno moltissimo successo.
Ma quanto numerosa è la minoranza rom in Slovacchia? La comunità rom è distribuita in misura variabile sul territorio slovacco. A livello nazionale non ci sono cifre definitive che attestino il numero di abitanti di etnia rom, poiché nei censimenti viene chiesto ai cittadini di segnare l’etnia alla quale “sentono” di appartenere. Inoltre, alcuni sono di origine mista. L’ultimo censimento (2011) ha riportato come percentuale ufficiale il 2%, mentre le stime ufficiose riportano una percentuale del 10%. La comunità più consistente è concentrata a Košice, la seconda città del Paese, nell’est della Slovacchia, in particolare nel tristemente noto quartiere Luník IX.
Questa settimana (in luglio – ndr), grazie al mio progetto del Servizio Volontario Europeo, ho avuto l’opportunità di entrare a contatto con la minoranza rom di Veľký Meder, un paese di 9.000 abitanti nel sud della Slovacchia, al confine con l’Ungheria. A Veľký Meder la maggioranza della popolazione (85%) è di nazionalità ungherese: questo vuol dire che le insegne dei negozi, le indicazioni stradali e tutto il resto sono sia in slovacco che in ungherese e che ci sono scuole ungheresi e scuole slovacche. La stragrande maggioranza dei residenti è di madrelingua ungherese ed alcuni di loro non parlano affatto la lingua slovacca. Il mosaico culturale della cittadina è reso ancora più vivace dalla presenza di una consistente comunità rom. Anche in questo caso le cifre ufficiali non sono molto utili: riportano una percentuale inferiore all’1%, ma potrebbero essere significativamente più elevate.
Grazie al mio progetto, dunque, ho passato una settimana nel centro giovanile di Veľký Meder, durante la quale ho avuto la possibilità di parlare con molti ragazzi rom che frequentano regolarmente il centro e che sono stati felici di aprirmi le porte alla loro lingua e alla loro cultura.
Venendo alla lingua e cultura rom, come è più giusto chiamare i membri di questa comunità? In italiano si utilizzano i termini rom, gitani, zingari o nomadi, mentre in slovacco si parla di romovia o cigáni. È interessante notare che in slovacco è diffusa anche la variante politicamente corretta osadnici (da osada: insediamento/frazione), termine inizialmente neutro, la cui frequente associazione alla comunità rom ha causato uno slittamento di significato. Ma torniamo alla domanda precedente. Anche se il termine ufficiale è rom, che in lingua romanì vuol dire “uomo”, ho notato i ragazzi che ho incontrato a Veľký Meder preferiscono definirsi cigáni, tanto che quando ho chiesto ad uno di loro se avesse la cittadinanza slovacca o ungherese, lui mi ha risposto pieno di orgoglio: “Ja som cigán” (io sono gitano/zingaro).
I rom hanno una bandiera, un inno, Djelem Djelem, ed una giornata mondiale loro dedicata, l’8 aprile, in ricordo del primo Congresso Mondiale dei Rom (1971). In Slovacchia i loro interessi sono rappresentati da tre partiti politici: Strana rómskej koalície (SRK), Rómska iniciatíva Slovenska (RIS) e Strana Rómskej únie (SRU).
Come già accennato, i rom hanno una loro lingua che si chiama romanì (in slovacco rómsky o cigánsky). Si tratta di una lingua prevalentemente orale di matrice indiana, non standardizzata (anche se è in corso un dibattito tra gli intellettuali rom su una possibile standardizzazione) costituita da molte varietà in ragione dell’influenza delle lingue parlate nelle zone in cui i rom sono insediati: in sostanza, un rom italiano ed un rom slovacco si capiscono, anche se alcuni dei termini che utilizzano saranno diversi, poiché influenzati dall’italiano e dallo slovacco.
Per farsi un’idea della lingua romanì, ecco alcune parole nella variante parlata a Veľký Meder (dunque influenzata dallo slovacco e dall’ungherese):
• numeri da 1 a 10: 1 jék, 2 duj, 3 trin, 4 star (pronuncia shtaar), 5 panzs (panj, con j pronunciata alla francese), 6 sov (pronuncia shoov), 7 épta, 8 okto, 9 iija, 10 des (pronuncia desh)
• come stai: sar sal
• sto bene: mi sto (pronuncia: mi shtò)
• bambino: savora (pronuncia: shavora)
• uomo: rom
• donna: romni
Il romanì ha anche una parola che vuol dire “persona non rom”: gağó (pronuncia: gagio).
I ragazzi rom che ho incontrato a Veľký Meder erano tutti cattolici. Sono stata colpita dal fatto che, nonostante mi abbiano riservato dal primo momento una calda accoglienza e fossero estremamente disponibili a raccontarmi della loro cultura e ad interagire con me, quando ho chiesto loro se avevano voglia di fare qualche fotografia insieme a me per ricordo, si sono tutti rifiutati (salvo poi cambiare idea l’ultimo giorno in virtù della bella atmosfera creatasi) e mi hanno spiegato che nella loro cultura fare una fotografia a qualcuno vuol dire entrare nella sua “sfera intima”.
Non mi dilungo oltre: raccontare in questa sede tutto quello che ho imparato e dare un’idea di tutto il calore e il buon umore che mi è stato regalato in pochi giorni è impossibile, ma inserisco qui qualche link per chi avesse voglia di scoprire qualcosa in più sulla cultura rom:
• sulla storia e la cultura della comunità rom: http://idearom.jimdo.com/cultura/
• sulla lingua romanì http://www.didaweb.net/forum/index.php?topic=98.0
• due bellissimi film “Cigán” (Slovacchia) e “Just the wind” (Ungheria)
(Autore: Emanuela Cardetta, Interprete e traduttrice, via Buongiorno Slovacchia. Foto: mecem.sk)
Salve,
è interessante scoprire la comunità Rom di un altro paese e vedere che ha una sua cultura e civiltà!
Proprio l’opposto della comunità Rom di origine bulgara, con cui ho a che fare quotidianamente qui a Pisa al bar della stazione dove lavoro:
– uomini alcolizzati e maleodoranti
– furti di biciclette, portafogli, borse che io stesso in più di un caso ho sventato
– oscenità in luogo pubblico (urinate sul bancone del bar)…
– mani (non molto pulite) allungate dietro la vetrina del mio bar con prelievo self-service di panini
– offese ai turisti che non hanno dato elemosina alle donne
Purtroppo nel mio caso non si tratta di stereotipi ma di esperienza quotidiana 🙁 Ma ripeto sono felice che esistano comunità migliori di quella pisana.
Buonasera Savesigita,
è un peccato che la sua esperienza sia così negativa. Senza dubbio gli episodi che menziona nel suo commento urterebbero la sensibilità di tutti noi. Colgo però l’occasione per rinnovare l’invito a tenere alto l’allarme nei confronti degli stereotipi: certamente non tutti i membri della comunità Rom di origine bulgara agiscono in maniera così maleducata. Grazie ancora del suo commento
Emanuela Cardetta