CROAZIA: La festa di Zagabria, una sbornia senza allegria

A mezzanotte del 30 giugno, la televisione pubblica croata ha offerto un evento paragonabile alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici. In scena andava una notte magica, in cui tutti i sogni erano realizzabili. La piazza Ban Jelačić sembrava un grande teatro (in effetti, le performance musicali erano il fulcro dell’evento) che lasciava spazio solo agli ospiti invitati e a quei cittadini disposti a comportarsi bene. Niente a che vedere con la celebrazione del ritorno dei generali Gotovina e Markač, che vide una partecipazione popolare di gran lunga piu’ ampia. Diversa e’ stata la forma dell’evento organizzato per celebrare l’ingresso della Croazia in un club ristretto e, al giorno d’oggi, privo di un orizzonte verso cui camminare. I cittadini croati, specialmente quelli che non hanno partecipato alla festa, lo sanno bene.

Non era il momento per le domande scomode. Tuttavia, vedere innalzarsi nuove frontiere verso Serbia e Bosnia-Erzegovina, mentre in Zagabria si suonava l’ Inno alla Gioia, non smette di sembrare un po’ inquietante. Da un lato, l’impatto economico su questi paesi sarà enorme (soprattutto nel caso della Bosnia-Erzegovina). Dall’altro, non è facile trovare un motivo di festeggiare l’istallazione di nuove frontiere, proprio nei luoghi in cui si concretizzarono i piani escludenti che oggi trovano piena legittimazione.

Si può parlare, inoltre, dell’interessante intervento della Presidente della Lituania, Dalia Grybauskaite, l’unico capo di stato che ha parlato alla cerimonia. Nel suo discorso, ha evidenziato il fatto che sia la Lituania che la Croazia siano due nazioni strettamente legate alla pallacanestro. Di conseguenza, la Presidente ha donato al capo di stato croato Josipović una maglietta blu con strisce gialle, naturalmente con il numero 28. Potremmo chiederci se è questo il modello che inseguono le potenze che oggi dirigono l’Europa: piccoli Stati manovrabili, non in grado di mantenere autentiche relazioni politiche che possano garantire governi davvero democratici nei propri paesi. Ma, ricordiamo: non era il momento per fare domande scomode.

Né era il momento per analizzare i discorsi. Nelle feste, succedono e si dicono cose che, sebbene in seguito vengano ripensate, ormai sono state dette, e sono successe. Per questo esistono le feste. Il presidente Van Rompuy deve aver pensato qualcosa di simile, quando faceva continuamente riferimento al valore dell’unita’ nell’organizzazione in cui fa ora ingresso la Croazia. Oppure quando si riferiva all’ ex Jugoslavia, elencando le sue componenti: Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, “Pristina e Belgrado”. Le gerarchie, in questo caso, sono sempre state molto chiare. Non ci deve essere spazio per i dubbi. Quindi, José Manuel Durão Barroso ha sottolineato l’importanza che avra’ la Croazia come esempio per i processi di adesione degli altri Stati della regione. Era un ruolo tradizionalmente riservato alla Slovenia, che detiene il posto più alto nella gerarchia. Non poteva mancare la citazione al contributo della Croazia alla riconciliazione con i suoi vicini. E infatti non è mancato.

La festa di Zagabria non ha a che vedere tanto con la Croazia, quanto con lo stato di questa Unione Europea, una organizzazione che in tutte le sue dimensioni, compresa la politica di allargamento, funziona con una inerzia preoccupante. Questo modo di vedere il mondo, plasmato dagli interessi geopolitici degli stati piu’ forti (sia all’interno che all’esterno dell’UE), può esplodere nelle mani dei suoi leader attuali, quando le persone saranno in grado di orientare e organizzare politicamente le proprie domande e preoccupazioni. Zagabria è stata un esempio di questo nel maggio di quest’anno, quando attivisti ed intellettuali provenienti da diverse parti della regione organizzarono il Forum dei Balcani, all’interno del Subversive Festival, che quest’anno ha visto la partecipazione, tra gli altri, del leader greco di Syriza Alexis Tsipras.

Pubblicato su Eurasian Hub

Photo credit: Vlada Republike Hrvatske

Chi è Alfredo Sasso

Dottore di ricerca in storia contemporanea dei Balcani all'Università Autonoma di Barcellona (UAB); assegnista all'Università di Rijeka (CAS-UNIRI), è redattore di East Journal dal 2011 e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso. Attualmente è presidente dell'Associazione Most attraverso cui coordina e promuove le attività off-line del progetto East Journal.

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