Da BUDAPEST – L’immagine del taglio della cortina di ferro con le cesoie è diventata celebre negli anni come un simbolo della fine del comunismo e della riunificazione tra l’Est e l’Ovest. In questi giorni è proprio questo scatto ad essere scelto dalla maggior parte dei giornali per ricordare un personaggio chiave dell’abbattimento delle barriere, l’ex primo ministro l’ungherese Gyula Horn, morto il 19 giugno 2013 all’età di 81 anni, ritratto nella foto insieme a Alois Mock, all’epoca ministro degli esteri come lui, ma a Vienna. Il confine blindato che veniva aperto era appunto quello tra l’Austria e l’Ungheria.
“Facciamo affidamento l’uno nell’altro (Paese, riferito all’Austria e all’Ungheria) e voglio che il nostro sogno europeo si avveri: che si possa non solo essere nati in Europa e morire in Europa ma vivere in Europa”.
Nato a Budapest nel 1932, Horn era laureato in Economia e Finanza. Nel 1954 entrò nel partito comunista, il Partito Ungherese dei Lavoratori fondato da Kádár, ma rimane poco chiaro il suo controverso atteggiamento verso la rivolta del 1956. Al ministero della Finanza tra il 1954 e il 1959, entrò agli Esteri nel ’59. Fu poi diplomatico presso le ambasciate ungheresi in Bulgaria e nell’allora Jugoslavia. Nel 1989 fu parte attiva nella trasformazione del MSzMP, il partito comunista, nel socialista MSZP. Dal 1994 al 1998 è stato primo ministo per poi mantenere fino al 2010 il ruolo di deputato in parlamento. Da diversi anni Horn era affetto da una grave malattia su cui si sono diffuse le voci più disparate e notizie errate, tra cui la più clamorosa apparsa sul sito del quotidiano magiaro Népszabadság il 9 ottobre 2007 in cui si annunciava il decesso del politico. Secondo le informazioni più recenti e non smentite, Horn avrebbe sofferto di una patologia simile all’Alzheimer e da diversi anni non sarebbe stato più in grado di riconoscere i suoi cari. Ha lasciato la moglie e i due figli Anna e Gyula Jr.
Sarebbe interessante sapere se Gyula Horn patì “il grave tormento autocritico” sui fatti d’Ungheria di cui accenna il presidente della Repubblica italiana nelle sue memorie o nel tempo dimenticò i nomi di Imre Nagy e Pal Maleter.