SLOVENIA: L’allergia alle unioni e l'Europa uncinata

Difficile prevedere se la trojka dovrà “salvare” la Slovenia. Un dato però è certo: una parte non trascurabile dell’opinione pubblica slovena guarda con circospezione alll’Europa. Le comparazioni tra Cipro e la Slovenia vengono percepite come puro sadismo. Negli anni ’80 la Slovenia era considerata, non a torto, la parte più avanzata e progredita della Jugoslavia. La Slovenia è stata la prima repubblica ex jugoslava ad entrare nell’Unione Europea e ad adottare l’euro (sebbene, a livello passivo, anche il Montenegro ed il Kosovo utilizzino l’euro, ma questa è un’altra storia).

Durante gli anni ’80, Mladina (gioventù), l’organo di stampa ufficiale della sezione giovanile della Lega dei comunisti della Slovenia (il partito comunista), si fece promotrice di audaci attacchi al regime socialista, muovendo da posizioni considerate di “destra” da parte del regime stesso. Dalle pagine di Mladina si criticava l’Armata popolare jugoslava, perché vendeva armi in Africa, perché il ministro della difesa jugoslavo, Branko Mamula, utilizzava i coscritti per farsi costruire una villa ad Abbazia (Croazia) e così via.

Un giovane Janez Jansa, assieme ad altri correi, venne arrestato e processato per aver divulgato il piano di un colpo di stato ed un intervento militare ai danni dei vertici politici sloveni dell’epoca (correva l’anno 1988), considerati troppo compiacenti nei confronti dell’opposizione slovena. In altri termini, Mladina ed il pensiero culturale di respiro europeo che la circondava, incarnato dai movimenti pacifisti, contro le discriminazioni degli omosessuali, contro l’energia nucleare, democratici, era considerata, soprattutto in Occidente, l’avanguardia, la parte migliore della Slovenia di quel tempo non lontano.

In quel periodo di fermento culturale, il regime jugoslavo era il “male”: non a caso, nel 1987, in occasione della ricorrenza della giornata della gioventù, il collettivo artistico Neue Slowenische Kunst, vinse il bando per la creazione del manifesto che avrebbe dovuto simboleggiare l’edizione annuale della ricorrenza, salvo poi scoprire che il manifesto ricalcava un disegno nazista. L’aver osato accostare Tito ed il regime socialista autogestito al nazismo, era indubbiamente una grave bestemmia che sollevò urla e critiche da tutta la Jugoslavia.

Poi, tra il 1989 ed il 1990, venne la fine del regime, e fece seguito, nel 1991, l’indipendenza della piccola e prospera Slovenia. Gli anni ’80, in Slovenia ed in Jugoslavia, furono caratterizzati da una grave crisi economica, finanziaria e sociale: gli sloveni si sentivano sfruttati dal sud jugoslavo, versando i balzelli nelle casse di Belgrado per foraggiare l’insaziabile fondo per lo sviluppo delle repubbliche e province più povere, in particolare il Kosovo, oltre alla Macedonia, il Montenegro e così via. La classe dirigente slovena credeva che il paese avesse bisogno di accedere al mercato europeo ed al capitale straniero quanto prima per poter reggere la concorrenza internazionale. Anche gli ex comunisti, capeggiati da Milan Kučan, si presentarono alle elezioni del 1990 con il motto “Evropa zdaj” (Europa adesso), per non esser da meno rispetto agli ex dissidenti, poi oppositori, ed infine governanti, di ispirazione democratica e anticomunista. Il ruggito demagogico che proveniva dal sud jugoslavo (il timore di una Jugoslavia egemonizzata dai Serbi guidati da Slobodan Milošević) spaventava gli sloveni, che decisero di abbandonare al loro amaro destino i fratelli del sud per agganciarsi al treno europeo. L’interesse nazionale sloveno era in Europa.

Curiosamente, l’ultimo numero di Mladina, in copertina, riporta l’immagine di un giovane uomo in uniforme nazista, con la svastica sostituita dalla bandiera dell’UE. Il titolo che campeggia è: “Il nuovo colonialismo”, con chiaro riferimento al caso di Cipro ed alle insistenti voci di un salvataggio europeo della Slovenia. Un editoriale di Marcel Štefančič, critica la “sadica retorica” corrente, che con toni “catastrofici” e “apocalittici” prevede il fallimento finanziario di un altro stato europeo, la Slovenia. Solo per il gusto di avere ragione, come “Karl Marx” (ultimamente tornato in voga, a quanto pare).

Ci vollero oltre quarant’anni di regime socialista per vedere sulle pagine di Mladina delle pesanti critiche al sistema politico ed all’ideologia marxista, paragonandolo al nazismo. All’UE ed all’euro, è bastato molto meno: non sono passati neppure dieci anni dall’ingresso della Slovenia nell’Europa (2004) e dall’adozione della moneta unica (2007). I paesi dell’Europa meridionale versano in cattive acque, sale la disoccupazione e mancano prospettive di crescita all’orizzonte: anche la Slovenia non fa eccezione. L’infatuazione slovena (forse entusiasmo dei neofiti?) per l’Europa sta scemando, ritorna la retorica della Slovenia vittima dello sfruttamento di forze aliene, solo che questa volta non si chiamano più Jugoslavia, comunismo e Slobodan Milošević: sono state sostituite dall’Europa, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale Europea. Un amico sloveno alcuni anni fa disse che tutte le federazioni a cui gli sloveni presero parte fallirono. Aveva in mente l’Impero asburgico e la Jugoslavia di Tito, entrambi abbandonati dagli sloveni per scelta e (presunta) convenienza. Difficile contraddire questa tesi, però la questione che si pone è la seguente: sono le unioni con altri popoli che vanno strette agli Sloveni, oppure il problema è congenito alle unioni stesse, ogni qual volta si presenta una crisi economica? Affermare che la Storia si ripete suonerebbe come una facile demagogia e del resto, un “adijo” (arrivederci) sloveno all’Europa non pare si profili all’orizzonte.

Chi è Christian Costamagna

Christian Costamagna, classe 1979, ha insegnato presso l'Università del Piemonte orientale nell'anno accademico 2014-2015 (corso di Storia contemporanea e dell’Europa Orientale) dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Storiche. Nella tesi di dottorato si è occupato dell’ascesa al potere di Slobodan Milosevic nella seconda metà degli anni ’80. Ha svolto ricerche d’archivio a Belgrado e Lubiana. I suoi articoli sono apparsi su East Journal, Geopolitical Review. Geopolitica – Rivista dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, Mente Politica, European Western Balkans, e sul “LSE blog about South Eastern Europe”. Costamagna è consulting analyst per Wikistrat.

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Un commento

  1. Direi che l’anti-europeismo finora è circoscritto alla sinistra extraparlamentaria (alternativa e radicale), della quale, nell’ultimo decennio (ma soprattutto dopo il collasso del liberalismo sociale sloveno) Mladina è diventata il megafono. È vero però che gradualmente va estendendosi anche alla sinistra più mainstream.

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