La rivincita di Marx e le nostre miserie

Marx sembrava morto e sepolto. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda che, di fatto, era anche una guerra ideologica, il pensiero marxista è finito nel dimenticatoio: sconfitto dal capitalismo, fallito nella sua realizzazione sovietica o cinese, superato nella sua teoria della “lotta di classe”. Il neoliberismo, appiattendo in Occidente le vecchie “classi”, rifondandole in una sola precaria e flessibile categoria di lavoratori, riducendo il ruolo dell’industria (e quindi quello della “classe operaia”) sembrava aver vinto. Poi è venuta la crisi economica, che si è trasformata in finanziaria e in debitoria. Il primo mondo ha così riscoperto le disuguaglianze sociali e lentamente va riorganizzando il dissenso su nuove direttrici trasversali alle “classi” rivendicando quei diritti sociali che la crisi sta mettendo in discussione.

Il settimanale conservatore americano Time ha dedicato a Marx un lungo articolo, a firma di Michael Schuman, nel quale rivaluta la lezione di Marx. certo, si tratta di un articolo di giornale e non di un saggio di filosofia, ma traccia un percorso e sdogana un tabù: Marx è ancora attuale. Ci voleva quest’epoca di miseria materiale e morale perché qualcuno se ne accorgesse?

Marx ha teorizzato che il sistema capitalista impoverisce le masse e concentra la ricchezza nelle mani di pochi, causando come conseguenza crisi economiche e conflitti sociali tra le classi sociali. Aveva ragione. E’ fin troppo facile trovare statistiche che dimostrano che i ricchi diventano sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri” scrive Schuman. “Questo non vuol dire che le teorie di Marx erano del tutto corrette. La sua ‘dittatura del proletariato’ non ha funzionato come previsto. Ma le conseguenze delle disegualianze sono esattamente quelle che aveva predetto:  il ritorno della lotta di classe. La rabbia dei lavoratori di tutto il mondo è in crescita: dagli Stati Uniti alla Grecia”. E ancora: “Marx aveva previsto un tale esito. I comunisti affermano apertamente che i loro fini possono essere perseguiti solo con l’abbattimento violento dell’ordine sociale esistente. ‘L’unica cosa che i proletari hanno da perdere sono le loro catene’. Ci sono segnali che i lavoratori di tutto il mondo sono sempre più impazienti. A decine di migliaia sono scesi nelle strade a Madrid e Atene, protestando contro la disoccupazione e le misure di austerità che stanno ulteriormente peggiorando le cose”.

Valutazioni un po’ di superficie su quello che fu, con pochi altri, un filosofo dell’economia capace di immaginare un nuovo modello economico alternativo a quello capitalistico. E quello che oggi manca, in occidente, è proprio l’immaginazione. Recuperare Marx potrebbe forse renderci la possibilità del “pensare diverso”? Inoltre il Time sembra confondere il disagio sociale, la mancanza di futuro, la disoccupazione e il malcontento per le misure economiche imposte dal neoliberismo, con la rabbia dei lavoratori. Quella di Madrid e Atene è la rabbia di chi non lavora. Ma Schuman guarda più al dato contingente: “Se i politici non praticheranno nuovi metodi per garantire eque opportunità economiche a tutti, i lavoratori di tutto il mondo non potranno che unirsi. E Marx potrebbe avere la sua vendetta”.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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7 commenti

  1. Ciò che in mezzo a questi luoghi comuni viene chiamato “Neoliberismo” sarebbe meglio definibile come “Friedmanismo”, il quale è un socialismo efficiente.
    Oggi Keynes (liberal-social-demogratici) e Friedman (neoconservatori neoliberisti) vanno a braccetto…inflazione e interessi liberistici assieme a nazionalizzazioni/assistenzialismi e tassazioni socialiste. Quindi eccoci nella situazione attuale: un socialismo lobbysta dove si può fare ogni tipo di buisness.
    L’eccesso di pianificazione centrale ci ha portato in questa crisi, è un dato di fatto dimostrabilissimo a partire dalla presa in considerazione delle decisioni dei pianificatori americani ai tempi della “bolla dotcom”, che hanno causato la bolla del 2008 (leggere le dichiarazioni di Krugman in proposito).

    In pochi capiscono che l’opposto speculare dell’impostazione attuale non è affatto Marx ma semmai Hayek…ma anche inconsapevolmente in molti capiscono che a godere tra i due litiganti (Keynes vs Hayek) potrebbe essere proprio Marx, dal momento che keynes e compagnia lì conducono volenti o nolenti.

    …ignoranti come pochi che ci faranno finire dalla padella alla brace.

    • La lezione di Keynes è, in realtà, ben più complessa di quel che ha presentato: ad esempio, nazionalizzazione e assistenzialismi non erano nella ricetta keynesiana, ma ne sono una lettura distorta. Scopo dello stato, nel caso particolare dell’economista, è appoggiare la domanda aggregata laddove questa manca, investire laddove il privato non investe per mancanza di ritorni economici sufficienti a spingere un’iniziativa imprenditoriale, combattere gli anti-cicli economici dovuti alle aspettative negative (irrazionali) che si possono produrre nel sistema.
      Per quanto riguarda la tassazione il discorso di Keynes è brevemente questo: tassazione progressiva e tassa di successione non sono figlie di un bolscevismo latente, ma è uno strumento efficace per spingere la domanda aggregata ed evitare la tesaurizzazione di ricchezze in una sorta di moderna “manomorta”.
      “L’eccesso di pianificazione centrale ci ha portato in questa crisi”. In che senso pianificazione centrale? Perché se per questa si intende la spinta politica dell’amministrazione Bush a “una casa per tutti” che ha generato la bolla dei mutui subprime sì, potrei darle ragione; o se i bassi tassi d’interesse applicati dalla Fed che hanno immesso nel sistema una liquidità tanto elevata da generare bolle speculative sono da considerarsi “pianificazione centrale” continuo a essere d’accordo (ma ne dubito che si possa intendere in questo modo). Ma i punti cardini della crisi sono due: il primo, l’eccessiva estensione della distanza tra i redditi più alti e quelli più bassi, oltre che un aumento incontrollato del debito privato (privato!); il secondo, l’eccessiva liquidità dei mercati finanziari, l’aumento incontrollato dei crediti delle banche al sistema economico, la vendita sui mercati dei suddetti crediti in un gioco al rialzo fino al momento di rottura (la fiducia viene meno, il valore crolla, così gli attivi delle banche, così il fallimento e la restrizione della liquidità del sistema).
      Ammetto che può sembrare semplicista una spiegazione di questo genere, ma è quella che ritengo più convincente della generica “pianificazione centrale”.
      Cordiali saluti

  2. Gli eredi da Marx ne hanno combinato di cotte e di crude, indubbio che il Nostro abbia avuto delle intuizioni importanti,, ma troppo spesso le applicazioni del suo pensiero ci fanno dire: lasciateci morire capitalisti!
    Ciao

  3. Più ancora di Marx, che su molti aspetti suona anacronistico, mi sembrano attuali alcune intuizioni di Lenin. Soprattutto quelle contenute nel saggio: “L’imperialismo come fase suprema del capitalismo”, dove Lenin aveva previsto esattamente la globalizzazione dei mercati e la trasformazione dell’economia produttiva in economia finanziaria.

  4. la sete di profitto, il valore lavoro espropriato ai lavoratori dai proprietari del capitale neoliberisti, porterà al collasso stesso del sistema da cui traggono, rapinosamente, ricchezza. Solo se un giorno i lavoratori si riapproprieranno dei mezzi di produzione, e quindi diventeranno di nuovo padroni del proprio lavoro, ritroveranno la loro libertà. Solo allora si potrà dire che “un altro mondo (cioè un modello economico diverso) è possibile”.

  5. Bonaiti Emilio

    Pur non ritenendomi all’altezza dei “duellanti” che mi precedono mi permetto di ricordare che la morte del capitalismo era già stata prevista nel 1929, con il successivo trionfo del comunismo

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