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DAGHESTAN: I terroristi non vanno in paradiso

Lo sheykh Said Afandi Čirkejskij, ucciso a fine agosto in Daghestan, era un acerrimo avversario dell’estremismo islamico e di quei guerriglieri che, definendosi “šahid” (“martiri”) compiono attentati contro rappresentanti del potere politico. In tal modo egli fiancheggiava le posizioni delle autorità russe che a loro volta lo sostenevano favorendone l’autorità. Il punto di vista di Said Afandi è stato da lui bene espresso in un discorso che pronunciò nel dicembre 2010 al III congresso dei popoli del Daghestan, discorso che ebbe grande risonanza sulla stampa governativa (filo-russa), in primo luogo sulla “Dagestanskaja pravda”. “La religione – disse lo sheykh – vieta di uccidere chiunque, dagli agenti delle forze dell’ordine ai rappresentanti delle tariqa. Coloro che si fanno esplodere definendosi šahid, non potranno neppure avvicinarsi al paradiso perché sono dei suicidi”. Lo sheykh fece un appello a “coloro che sono andati nel bosco” (allusione frequente nel codice politico-linguistico daghestano ai guerriglieri che vivono alla macchia), lo sheykh li esortò a “lasciare il bosco agli animali e a tornare nella società umana”.

L’uccisione di Said-Afandi provocò allarme fra i dirigenti musulmani russi. Il presidente del “Consiglio dei mufti di Russia, sheykh Ravil Gaynutdin (‘Ayn-ud-Dīn) inviò un messaggio di cordoglio al capo ufficiale dei musulmani del Daghestan. La figura del defunto veniva elogiata e si metteva in evidenza l’ascendente che Said Afandi aveva non solo sui dirigenti religiosi del Daghestan, ma anche su quelli politici. Infatti Gaynutdin volle sottolineare che il defunto sheykh “godeva di autorità non solo presso i fedeli. ma anche presso le autorità locali”. Il messaggio del capo del Consiglio dei mufti di Russia continuava sullo stesso tono: “Said Afandi era il maestro spirituale di migliaia di musulmani della Repubblica del Daghestan ed era famoso per il suo carattere mansueto, la sua tolleranza e per il fatto che non rifiutava mai di aiutare nessuno. Era uno degli sheykh sufici più influenti del Daghestan”. Ravil Gaynutdin volle poi sottolineare lo spartiacque che divide l’islam sufico, o “confraternale”, tendenzialmente pacifico, da quello salafita o wahhabita, votato alla violenza. “L’islam maledice il terrorismo”, affermava Gaynutdin, e proseguiva: “La nostra religione parifica il peccato di omicidio anche di un solo uomo, tranne che sul campo di battaglia in tempo di guerra, all’uccisione di tutta l’umanità. Banditi simili a rettili hanno compiuto un vile assassinio, mettendosi a fianco dei forsennati nemici dell’islam e dell’umanità”.

Questi i fatti che hanno scosso il Daghestan negli ultimi tempi. L’uccisione dello sheykh viene attribuita alla lotta fra i musulmani sufici o “confraternali” e gli estremisti salafiti e wahhabiti. Ma a Makhačkala e a Mosca non mancano coloro che sospettano nell’attentato a Said-Afandi un coinvolgimento dei servizi segreti russi. Si tratterebbe cioè di una provocazione capace di provocare disordini e dare alla Russia l’occasione per scatenare nel Daghestan una guerra di tipo ceceno, alla quale il Cremlino già si sta preparando accumulando truppe e armi nella repubblica nord-caucasica.
Ma analizzeremo nei particolari queste ipotesi in un prossimo articolo.

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Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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Un commento

  1. Il rituale coinvolgimento di un servizio segreto, questa volta della Federazione russa, nell’attentato in Daghestan, per associazione di idee mi fa venire alla mente la teoria del “Rasoio di Occam”. Guglielmo di Occam era un monaco inglese vissuto nel ‘300 che espresse una teoria conosciuta come “il Principio del rasoio di Occam”, che grossolanamente riassumo in poche parole: “Non c’é alcun motivo di complicare quello che é semplice”, ossia tra le tante spiegazioni possibili quella più semplice é quella che ha maggiori possibilità di essere esatta.
    Nel caso in esame non sembra che possa portare a conclusioni diverse di quella di un ennesimo attentato del terrorismo islamico, contro un “cattivo musulmano”. Che la Russia abbia intenzione di provocare un conflitto in una delle sue repubbliche mi sembra fantascienza alla luce della tragedia Cecena, una sanguinosa, crudelissima guerra che si prolungò dal 1994 al 2006 causando 50.000 morti, la strage del Teatro Dubrovka a Mosca e quella della scuola elementare a Beslam.

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