Il Caucaso tra ebrei e buddisti, luogo della complessità e del conflitto

Il Caucaso è oggi un’area dalla fondamentale rilevanza strategica e geopolitica, e si trova al centro di molteplici spinte e tensioni che non di rado danno luogo a guerre anche feroci. Tra queste quelle di cui parleremo, cioè le due guerre russo-cecene. La ricchezza di idrocarburi ha fatto del Caucaso una regione contesa e vede diversi attori internazionali competere per il suo controllo diretto o indiretto. L’instabilità del Caucaso è una condizione apparentemente recente eppure antica. Dalla fine del XVIII secolo, con la conquista russa, il Caucaso viene progressivamente integrato nell’impero zarista, prima, e sovietico, dopo, godendo un lungo periodo di pace. Nel 1991, con la caduta dell’Unione Sovietica, la regione è tornata ad essere quel che sempre è stata: una linea di frontiera tra Europa e Asia, tra cristianesimo e islam, tra popolazioni e culture assai diverse tra loro. Ma si tratta di una frontiera porosa, senza confini netti, che lascia aperti spazi di conflittualità. Il 1991 fu come riaprire un vaso di Pandora e le tensioni che covavano sotto la cenere esplosero in atroci guerre interetniche.

Ma prima di addentrarci nel racconto delle guerre cecene dobbiamo anzitutto capire cos’è il Caucaso, regione a cavallo tra la catena del Grande Caucaso, a nord, in cui spicca il monte El’brus (5642metri) e il Piccolo Caucaso, a sud, dove svetta il monte Ararat (5156 metri). Ai tempi della dominazione russa e sovietica si era soliti chiamare “Ciscaucasia” il Caucaso settentrionale e “Transacaucasia” quello meridionale. Oggi il primo è ancora sotto il controllo russo, e comprende alcune repubbliche e regioni autonome (come la Cabardino-Balcaria, la Circassia, l’Inguscezia, la Cecenia e il Daghestan) mentre il secondo vede la presenza di tre stati indipendenti, la Georgia, l’Armenia e l’Azerbaijan. Il Caucaso, già così, sembra un posto complicato. “Uno dei più problematici laboratori di culture del nostro Mediterraneo”, come scrisse Carile in Il Caucaso e l’impero bizantino (1996): sono infatti decine i gruppi etnici presenti, così come le lingue. I geografi arabi chiamarono la regione Djabal al-alsun, la montagna delle lingue, a testimoniare l’elevato livello di diversità etnoculturale dovuto anche alla peculiarità geografica del Caucaso che favorisce l’isolamento delle varie comunità. Adighi, circassi, cabardini, osseti, ingusci, ceceni, daghestani, balcari, karacai, avari, lesghi, lachi, darghini, cumucchi, nogai, calmucchi, abcasi, mingreli, svani, kartveli, azeri, armeni, assiri, tati, talisci e, ovviamente, russi, compongono la varietà etnica del Caucaso. Ad essi corrisponde una notevole varietà linguistica che possiamo riassumere in tre grandi famiglie, quella indoeuropea, quella caucasica e quella uralo-altaica. La prima comprende le lingue iraniche, come l’osseto, il tati, il curdo, l’armeno e naturalmente il russo. La seconda comprende tre sottogruppi con Adighi, Circassi e Cabardini (e forse Abcasi) di lingua caucasica nord-occidentale; ingusci e ceceni di lingua caucasica nord-orientale; e il gruppo delle lingue kart veliche (cioè georgiane) a sud. La terza famiglia, quella uralo-altaica, comprende tutte le popolazioni turcofone, come Balcari, Nogai, Cumucchi, Azeri. I calmucchi sono eredi dei mongoli che invasero la Russia tra il XII e il XV secolo e parlano anch’essi una lingua turcica. Ci sono poi gli assiri di lingua semitica.

Dal punto di vista religioso il quadro è altrettanto ricco. Ci sono i cristiani, divisi tra la Chiesa Apostolica armena e la confessione ortodossa di osseti, georgiani e russi. Ci sono i musulmani, e sono la maggioranza, divisi tra sunniti (ceceni, ingusci, daghestani…) e sciiti (azeri). Ci sono gli “ebrei della montagna”, forse eredi dei cazari, popolo nomade di lingua turca che cavalcò le pianure della Russia nell’alto Medioevo e che si convertì, sorprendentemente, all’ebraismo. E ci sono i Calmucchi buddisti, religione che si sono portati dietro dalla Mongolia.

A cosa si deve una situazione tanto complessa? Miller, in Studi osseti (Mimesis 2005) dice che “la pianura russa meridionale, tra il Caspio e gli ultimi pendii degli Urali, non presentava ostacoli naturali alle popolazioni che si spostavano in Europa dalle steppe dell’Asia centrale. Le tribù vinte e incalzate dai nuovi occupanti di volta in volta provenienti dall’Asia dovevano cercare rifugio verso il Caucaso, nelle gole delle montagne, sempre più in profondità nelle valli” che hanno permesso alle loro culture di conservarsi grazie al relativo isolamento. Ecco, è in questo mondo che sono scoppiate, negli anni Novanta, guerre e conflitti etnici di vario tipo. Nel 1991 ci fu la guerra tra abcasi e georgiani e nel 1993 quello fra osseti e georgiani. Tra il 1991 e il 1993 ci fu la guerra civile georgiana in cui i mingreli ebbero un ruolo chiave. Nel 1991 scoppiano i primi pogrom anti-armeni in Azerbaijan e scoppia (quando?) la guerra – tutt’ora in corso, seppur “congelata” – tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno Karabakh. Nel 1995 scoppia la prima guerra russo-cecena e nel 1999 la seconda. Il fondamentalismo islamico, che dà vita a un Emirato del Caucaso, compie ripetuti attentati dall’inizio degli anni Duemila. Nel 2008 va in scena la seconda guerra osseto-georgiana che porterà all’intervento russo e alla creazione di due repubbliche de facto in Abcasia e Ossezia.

In queste puntate parleremo anzitutto della prima e della seconda guerra cecena. Una guerra che ha in Anna Politkovskaja il suo simbolo ma di cui, in Europa, si sa ancora poco. E’ una guerra complessa che proveremo a riassumere e semplificare sacrificando qualche dettaglio in nome della comprensione del fenomeno nel suo complesso. Parleremo poi dei conflitti interetnici in Georgia fino a quello del 2008 che vide l’intervento russo. L’azione militare russa nel Caucaso è oggi di nuovo di attualità alla luce del conflitto in Ucraina e dell’annessione della Crimea che trovano, nel Caucaso, dei precedenti. La presenza di consiglieri georgiani nel governo di Kiev, infine, si spiega partendo dalle guerre del Caucaso.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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