SERBIA: Il portavoce di Milosevic sarà premier a Belgrado. Ma è una buona notizia

Riportiamo un articolo dell’8 maggio scorso sul risultato delle elezioni serbe: mentre si attende l’esito del ballottaggio per le presidenziali, si lavora a un accordo per la formazione del nuovo esecutivo che potrebbe vedere in Ivica Dacic il prossimo primo ministro. L’articolo in questione si discosta dalla nostra analisi che non ritiene essere una buona notizia il premierato di Dacic. Com’è nostra abitudine, crediamo di fornire un servizio al lettore offrendogli punti di vista alternativi al nostro.

da Europa

Boris Tadic e Tomislav Nikolic finiscono appaiati (27 per cento circa al primo; 25 e poco più al secondo) e se la giocheranno al ballottaggio, tra due settimane. Il voto parlamentare è stato tale e quale a quello presidenziale. L’unica differenza è che il Partito progressista (Sns) di Nikolic, forza conservatrice a dispetto del nome, ha ottenuto più seggi di quello democratico (Ds), guidato dal capo dello stato uscente: 72 a 67. I sondaggisti avevano preconizzato che la grande domenica elettorale serba – oltre alle presidenziali e alle legislative ci sono state le amministrative e le provinciali in Vojvodina – sarebbe terminata così.

Nessuno scossone. Avevano immaginato anche il terzo posto di Ivica Dacic alle presidenziali e quello del suo Partito socialista (Sps) alle politiche. Altro pronostico azzeccato. I socialisti, così, fungeranno da ago della bilancia in vista della composizione del prossimo governo. Potranno accettare le offerte dei Ds e continuare a cercare di imboccare con loro la strada che porta a Bruxelles, come avvenuto nella passata legislatura. Oppure allearsi con i progressisti e, senza comunque rinunciare all’obiettivo europeo (Nikolic ha rinnegato la vecchia retorica isolazionista), riporre più enfasi sulla questione nazionale e patriottarda. Si vedrà nei prossimi giorni che piega prenderanno i negoziati. Difficile, tuttavia, che Dacic compia il “ribaltone”. Facile, invece, che faccia il primo ministro.

Il fatto è che lo scarto tra la previsione il 16 per cento ottenuto al voto per la Skupstina, il parlamento serbo, è un risultato decisamente superiore a quello atteso (in questo i sondaggisti hanno un po’ toppato), che fa dell’Sps l’unico partito in chiara crescita rispetto al voto del 2007 e che riduce la distanza che lo separa, in termini di preferenze, da Ds e Sns. Insomma, la forza dei numeri permette a Dacic di rivendicare qualcosa in più rispetto a cinque anni fa, quando chiese a Tadic la poltrona di ministro dell’interno come condizione necessaria al suo ingresso nella maggioranza.
Lo stesso Dacic, acquisiti i risultati, è stato d’altronde molto, molto chiaro. «Non si sa chi sarà il prossimo presidente serbo, ma è chiaro chi sarà il primo ministro», ha affermato, con tutta la sicurezza, mettiamoci pure un pizzico di arroganza, di chi sa di avere in mano delle carte vincenti.

Ora, il punto è che Dacic è stato, sul finire degli anni ’90, uno dei portavoce di Slobodan Milosevic. Il che spalanca dei dubbi. È possibile – qualcuno già si chiede – che un uomo che è stato vicino al principale responsabile delle guerre balcaniche faccia il primo ministro della Serbia? Chi si pone queste domande dovrebbe però anche guardare a quello che è successo negli ultimi anni. All’evoluzione democratica, vale a dire, dell’Sps. Dacic è infatti riuscito a ricostruire l’immagine del partito, che oggi appare svecchiato, sganciato dai retaggi miloseviciani e favorevole all’ingresso in Europa.

Il successo socialista in questa tornata elettorale non si spiega soltanto con la revisione della piattaforma ideologica, peraltro già consolidata da tempo. Hanno inciso anche il fattore carismatico e le origini familiari. «Dacic non discende da una famiglia di intellettuali o da esponenti della vecchia classe dirigente comunista. Suo padre era poliziotto. Questo gli ha permesso di costruirsi quell’immagine da uomo della strada, che sa capire e interpretare i bisogni della gente», spiega Tim Judah, il balcanista dell’Economist, aggiungendo che il capo dei socialisti «ha usato alla perfezione la ribalta mediatica, durante la sua permanenza al ministero degli Interni».

In effetti Dacic ha conquistato molto spesso la prima pagina dei giornali o l’apertura dei notiziari televisivi, specialmente grazie alla lotta senza quartiere promossa contro la criminalità organizzata, che ha portato a numerosi arresti e che ha permesso alla Serbia, prima considerata rifugio sicuro di criminali e narcotrafficanti impuniti, di conquistare una crescente credibilità internazionale sul fronte del contrasto alle mafie.

«Non si sa chi sarà il prossimo presidente serbo, ma è chiaro chi sarà il primo ministro», ha detto Dacic, gongolante, l’altra sera. Ebbene, ci sentiamo di rischiare il pronostico e di dire che il capo dello stato sarà ancora Boris Tadic. Perché Dacic sa bene che la sua popolarità sarà sì farina del suo sacco, ma non sarebbe mai potuta arrivare senza l’alleanza con Tadic e i Ds.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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